Profili di ermeneutica della temporalità giuridica nella riflessione di Sergio Cotta, di Luigi Di Santo

  • 1. Premessa

Diritto e tempo si ritrovano nell’essere dell’uomo, ontologicamente temporale, dato che il diritto non avrebbe alcun senso fuori dal con-esserci umano. È ben presente la consapevolezza del diritto come fare dell’uomo, in un rapporto di reversione dove il giuridico è coessenziale nello sviluppo dell’umanità e del suo inscriversi nella storia. «Questo è – afferma Cotta – prima che creazione, apprendimento di ciò che siamo, della complessa trama di influenze che riceviamo e di cui dobbiamo diventare consapevoli se vogliamo controllarle. Dal codice genetico alle idee, passando per le abitudini, le tradizioni, la cultura, l’io fin dall’inizio è veramente carico di storia, di già fatto, anche se di un già fatto che si apre al da fare e lo esige» . La riflessione intorno al giuridico mira a coglierne l’essenza in direzione della relazione coesistenziale, dove si esprime il «concreto» manifestarsi dell’attività umana, per la quale il diritto si struttura. «Per cogliere l’essenza del fenomeno giuridico, secondo Cotta, la filosofia deve muovere dalla descrizione dei modi in cui l’ente si manifesta, cercando di chiarificarne prima la forma esterna, poi la struttura interna, per giungere a interrogarne il senso profondo» . In tal modo, l’uomo è «nel diritto», perché il richiamo alla propria esistenza implica la profondità del suo essere persona, nella costante ricerca della verità, attesa e liberata dal giusto. «Va rimarcato come Cotta sferri il suo attacco al positivismo giuridico statualistico, contestando non tanto l’insensibilità di tale metodo alle ragioni eterne del giusto, bensì alla sua inadeguatezza al concreto svolgersi dell’esperienza giuridica e la sua impraticabilità in una società pluralistica e dinamica […]. La razionalità del diritto, in questo senso, non è risolta nell’astratta ed univoca ragione del legislatore settecentesco, ma è una razionalità plurale e già sempre in atto, esercitata da soggetti interpretanti tenuti a giustificare asserzioni e decisioni al cospetto della comunità interpretativa» . La dimensione creativa del diritto come attività umana apre alla possibilità nel ricerca del senso, in chiave temporale. La domanda sul diritto e la domanda sull’uomo si alimentano reciprocamente; nessuna delle due è senza l’altra. Il diritto implica l’uomo e l’uomo implica il diritto. Questo è il punto. Quando la coscienza identitaria si disperde nel flusso della temporalità senza alcuna «puntualizzazione», ecco che il diritto non trova più una modulazione di relazione con l’esistente. Quando il diritto non esprime la capacita mediativa di interporre i soggetti, ecco che la coscienza si priva della propria tensione al giuridico non disponendo di sé, disperdendo la pulsione creativa nella dimensione della afasia sociale. Non c’è più l’uomo ma il nulla.

  • 2. Il Diritto nei suoi profili esistenziali

Sergio Cotta pone il diritto nel contesto dell’esistenza ricercandone fondamento e significato. Il diritto, «in primo luogo, contrasta con il patologico chiudersi della coscienza dell’io nell’isolamento, che ne inaridisce la memoria o lo blocca nella regressiva riproduzione speculare dell’immagine di sé. In secondo luogo, il diritto conferma la coscienza nella consapevolezza della sua coesistenzialità, superando l’occasionalità degli incontri. In terzo luogo, rende sicuro nella temporalità l’io (il suo volere e il suo agire) ma entro quello che è il vero e reale orizzonte della sua esistenza: la coesistenza» . L’esperienza giuridica pone dunque una relazione esistenziale tra i soggetti, per cui è necessario «mettere in relazione il diritto con l’essere-uomo, ossia con l’essere di un ente che è ontologicamente temporale ed è cosciente di questa sua intrascendibile temporalità, segnata dalla propria nascita e morte. Ora, questa relazione è l’oggetto proprio della filosofia del diritto, per la quale il nesso diritto-tempo è non già un dato bensì, appunto, un problema» . Nelle parole di Cotta, risulta in maniera evidente che, al livello della scienza giuridica e della teoria generale, il nesso diritto-tempo si esaurisce nella mera prassi della regolazione del rapporto normativamente stabilito fra il tempo nella sua «misurazione» usuale e gli atti e fatti giuridici nella misura in cui la regola giuridica non è una regola qualsiasi in quanto si caratterizza nella sua coesistenzialità, dato che mette in relazione di regolarità sincronica e diacronica l’individuo che agisce con il suo simile. Nell’analisi del nesso per la soluzione del problema – sostiene Cotta – è possibile dar luogo, ad un primo livello d’interpretazione della realtà, a prospettive alternative: il tempo domina il diritto; il diritto domina il tempo. Nel primo caso vi è una prevalenza del tempo sul diritto al di là della volontà umana e del suo agire; nel secondo caso si connota una prevalenza della situazione giuridica in quanto essa rimane inalterata rispetto al tempo, sottraendosi alla sua azione. Ma, sottolinea ancora Cotta, che ad un livello di osservazione più profondo, «l”opposizione” perde la sua alternatività e si presenta quale relazione di circolarità dialettica [per cui] i processi di opposizione, di cui sopra, non si sopprimono a vicenda ma si inseguono e susseguono in una sorta di “eterno ritorno dell’uguale”. Infatti, il dominio del diritto sul tempo mediante la normazione e l’istituzionalizzazione viene superato dal tempo che consuma progressivamente e fa sparire le norme e le istituzioni. Ma non appena quella norma o istituzione è scomparsa sotto l’azione del tempo, un’altra ne sorge a contrastare e vincolare il dominio del tempo, e così di seguito» . La relazione esistenziale, e non solo quella tra diritto e tempo, acquista il suo pieno senso, solo se ha continuità diacronica e si caratterizza in tal senso come durata. «In questa prospettiva, il tempo non appare più soltanto come ciò che, essendo diviso in infiniti attimi fugaci, passa e quindi distrugge il diritto e ogni relazione; bensì anche come ciò che permane, durata, e per ciò fa essere il diritto» . Ciò che dura e che «fa essere» il diritto è, secondo Cotta, l’«intenzionalità» dell’uomo. «Infatti, proprio l’intenzionalità, durando, connette insieme quegli atti nei quali, stando al loro tempo, appare scomponibile empiricamente il diritto» . Dalla intenzionalità «duratura» riceve senso il diritto. Cotta chiama in causa Agostino e la sua compresenza dei tempi per sottolineare quella sorta di sospensione dello scorrere del tempo che permette alla coscienza di comprendere passato, presente e futuro. «Applicando il ragionamento al diritto, si avrà che nel presente dell’applicazione della norma, si fanno presenti la memoria della sua passata statuizione e l’aspettativa dei suoi effetti» . Ancora egli va oltre la distinzione tra tempo matematico e tempo coscienziale, raccolto nella durata e ritiene che il primo presupponga il secondo e rinvia ad esso dato che sono descrivibili come due strati intercomunicanti della percezione coscienziale del tempo, di cui il primo «poggia» sullo «strato profondo» della durata. «Il tempo misurato non è inautentico di per sé, bensì quando, scisso dalla durata, venga assolutizzato, ossia ritenuto l’unica modalità coscienziale del tempo. In tal caso, poiché la misurazione è scomponibile all’infinito (matematico), non si avrebbe coscienza di nulla» . Il diritto si esprime attraverso questo duplice strato inscindibile della coscienza del tempo per la ‘misurazione’ dei fatti giuridici in relazione alla durata coscienziale che prevede la ‘successione’ senza separazione delle modalità giuridiche. «Il diritto perde il suo senso se privo di questa temporalità coscienziale, che si rivela il primo fondamentale incontro per esplicazione del mio proprio orizzonte essenziale di essere, […] nel mio essere sotto forma di infinità aperta» . Per comprendersi come «durata», l’«io» deve «vivere» come «io identico» nel «flusso del vissuto», nel fluss dell’orizzonte husserliano ; la «comprensione» di sé è data, sostiene Cotta, dalla «memoria», in quanto essa «mi offre la prima esperienza coscienziale (cioè non irriflessa) della sussistenza dell’io nel tempo, della durata dell’io. Essa rivela ciò che di più di intimo a sé abbia l’io» . Una «memoria» non discontinua, ma che si sostiene e si sviluppa in virtù delle «stimolazioni» dall’esterno, che non corra il pericolo di «perdersi» nell’alienazione della «non-presenza» poiché ciò comprometterebbe anche il senso della «durata» divenuta anch’essa discontinua con la conseguenza, per le «dimensioni» del presente e del futuro, della dispersione nell’incertezza del «fluire», nell’oblio. La memoria ferita, per dirla con Ricoeur, l’oblio profondo che tocca la memoria in quanto «iscrizione», «ritenzione», «conservazione dei ricordi» . Ciò che vi è di più «intimo» è proprio all’«io», la coscienza di sé nella memoria, è acquisito tramite l’«alterità» in quanto «l’incontro con l’altro-da-sé suscita la memoria di sé, perché rende presente quella relazione coesistenziale che – pur di continuo obliata nel disperdersi nel quotidiano o nell’incentrarsi nella propria soggettività empirica – è tuttavia il fondamento della vita» . In questo contesto, il diritto nel suo essere «regola» ha in sé i tre modi della temporalità «avvertiti» immediatamente dalla coscienza: «la regola è stata posta, è vigente ora e riguarda il sarà dell’azione di per sé sempre protesa in avanti. Nel suo stesso concetto, come nel suo reale esplicarsi, la regola implica durata» . Essa, implicando una durata, rende «durevolmente» consapevole l’«io» della sua relazione con l’altro. Il diritto, rileva Cotta, rende «pubblico» il tempo ma non in senso heideggerriano in quanto tale ‘condizione’ va intesa nel senso della preservazione temporale dell’autenticità dell’«io» come coesistente. L’interazione del vissuto dell’«io» nell’alterità è realizzato sul terreno comune delle interferenze intersoggettive nella continua interpretazione della norma. «L’idea del tempo come ciò-che-passa non soddisfa dunque neppure quelli che credono che l’uomo è colui-che-passa, perché si trova contro, l’ostacolo della più profonda esperienza dell’io: la memoria, la ripugnanza verso la morte, l’impossibilità che l’istante si esaurisca in sé. […] Il giuridico rappresenta nella storia, il metallo resistente con il quale è forgiato ciò che dura. […] È la struttura che dura, sono le sue forme che cambiano» . Il diritto dunque non si oppone alla coscienza ma anzi nasce da una profonda esigenza di questa: «dall’inglobante ordine cosmico (segnato dalla lex aeterna), all’ordine antropologico della rationalis creatura (segnato dalla lex naturalis), fino all’ordine positivo-sociale (segnato dalla lex humana), l’uomo è inserito in un sistema ordinato che è la condizione stessa della vita» . Nel percorso che parte da Agostino, con la compresenza dei tempi, sino alla «durata umanizzante» di Bergson, che vede nel tempo la qualità stessa del reale come autocreazione continua e come processo indefinitamente aperto, fino al «fluss» husserliano , si trovano le radici del sistema relazionale diritto-tempo, che Sergio Cotta inserisce nella riflessione, ancora ai nostri giorni viva, all’interno di quella filosofia giuridica, che non ritiene che il tempo, sottratto all’uomo come coscienza, pur «osservabile» con oggettiva chiarezza, in un operoso proposito di comprensione scientifica, ne segna ancor più il distacco dal «vissuto» formulando un incolmabile vuoto.

  • 3. La temporalità del diritto nella filosofia giuridica italiana. A 35 anni dalla tavola rotonda …

La ricostruzione che qui si propone, sintetica e certamente incompleta, del pensiero di Sergio Cotta sulla relazione tra diritto e tempo, è stata operata in massima parte attraverso il saggio Diritto e tempo. Linee di una interpretazione fenomenologica, del 1981, pubblicato a margine di una tavola rotonda che aveva come argomento «Diritto e tempo», in seno al Congresso nazionale della Società italiana di filosofia giuridica e politica. Il testo, pubblicato negli atti e sulla Rivista internazionale di Filosofia del diritto, si confronta con le tesi degli altri partecipanti al tavolo di discussione, ossia Enrico Opocher e Luigi Bagolini. L’evento ricordato assume una importanza notevole per la filosofia giuridica italiana, in quanto riapre il dibattito sulla tematica, a partire dagli studi di Gerhart Husserl che negli anni ’50 del secolo scorso ha avuto il merito, tra gli altri, di dar vita a un fecondo confronto sulla relazione tra tempo e diritto. Recht und Zeit di G. Husserl è «l’ampio saggio, al quale ancora oggi tutti coloro che si occupano dei rapporti tra diritto e tempo debbono necessariamente riferirsi» , nel panorama italiano. Come scrive Giuliana Stella, «l’importanza della teorizzazione giusfilosofica di G. Husserl, la cui produzione è quella di più lungo respiro tra i giuristi fenomenologi, è primaria. G. Husserl si cimenta con l’essenza stessa del diritto e tenta, mediante l’essere temporale [Zetsein] di esso, una individuazione di molta parte del giuridico» . I dispositivi di pensiero da ricostruire sono ben diversi tra loro ma tutti si pongono il problema della relazione tra l’«essere umano» nel tempo e del suo rapporto con la sfera giuridica nel segno di una umanizzazione del diritto. Infatti gli autori che hanno partecipato a quel dibattito, ai quali faremo riferimento, guardano alla relazione tra tempo e diritto a partire da una tensione coscienziale, seppure specificata con moduli diversi, me ben lontana da una determinazione «cronica» o «misurata», pur tenendo conto della necessità di considerare una partizione del tempo interno del diritto in direzione di quella che può essere definita una teoria generale del diritto, funzionale, che esprime una tecnica della normazione, sorda agli appelli dell’umanità dell’esperienza giuridica, fonte della relazione discorsiva tra gli uomini.

  • 3.1 Tempo oggettivo e tempo coscienziale nell’ermeneutica giuridica

Le posizioni dei due protagonisti, insieme a Cotta, possono essere così ricordate. Luigi Bagolini nella sua riflessione sul rapporto tra la temporalità con la realtà giuridica, propone una prospettiva che fonda il suo essere sulla distinzione tra un momento «tecnico» che è quello della registrazione del «cosiddetto» decorso del tempo dal punto di vista giuridico e un momento «teorico» che fa riferimento a un certo uso comune delle parole «passato», «presente», «futuro» per la determinazione di alcuni concetti chiave adoperati dai giuristi. Il decorso del tempo è una circostanza generalmente considerata dal giurista in relazione con altre circostanze ed ha una influenza sulle cosiddette relazioni giuridiche determinata a sua volta dalla necessità della registrazione temporale. Esso va inquadrato come tempo obiettivato, implicato nella varie nozioni «croniche» usate tecnicamente dai giuristi quali «tempo fisso», «tempo mobile», «tempo utile», «tempo continuo». «Queste concettualizzazioni del giurista, che mi sembra siano caratterizzabili […], in termini di tempo obiettivato, appartengono ad un livello di discorso in cui si esprime per esigenze pratiche e tecniche quella che potrebbe essere detta la localizzazione “cronica” degli eventi con cui il giurista ha a che fare: un processo di localizzazione temporale a cui il giurista non può sottrarsi» . Il tempo obiettivato svolge una funzione positiva che consiste nei procedimenti di registrazione cronica degli eventi giuridicamente significativi. Esso può essere definito anche in termini che coinvolgono «passato», «presente» e «futuro» nel senso della successione. Nota Bagolini, «nella successione di passato, presente e futuro è implicata la posizione dell’osservatore. La posizione dell’osservatore è “incidente” nei confronti del tempo obiettivato […]. Da un lato, non si può dire che il “non essere più presente” o il “non essere ancora presente” coincidano col presente; il dirlo è una contraddizione. Dall’altro lato, non si può neppure dire che il presente sia “schiacciato” fra il passato e il futuro poiché il presente ha uno “spessore” che gli deriva proprio dall’osservatore. Il che è fondamentale per comprendere la temporalità del cosiddetto tempo obiettivato contro ogni surrettizia negazione» . La componente soggettiva dell’osservatore, la sua capacità di scelta e determinazione assicura un certo «spessore» al presente che fa di esso non solo o non più un mero punto geometrico ma conserva la nozione di tempo obiettivato quale condizione di orientamento e localizzazione cronica anche nell’ambito della conoscenza giuridica. Oltre alla nozione di tempo obiettivato e spazializzato, numerabile e quantitativo, per Bagolini si presenta un altro livello di discorso: il tempo della coscienza. Egli intende per «coscienza» «non soltanto la conoscenza analitica, descrittiva e fattuale, i cui risultati siano riducibili a proposizioni verificabili come vere o come false, bensì anche ogni specie di consapevolezza prescientifica, emozionale, pratica, mitologica, ideologica, ecc., anche la consapevolezza più o meno chiara e distinta che l’individuo abbia di ogni possibilità di azione offertagli dalla situazione e dall’ambiente sociale in cui vive» . La realtà ambientale, nella quale un individuo vive, acquista senso e valore attraverso la coscienza delle sue possibilità di scelta e azione. «L’individuo, come coscienza ambientale, implica immediatamente la pluralità delle coscienze altrui: ciò implica che ogni “cosciente” manifestazione del vivere umano attraverso una “integrazione” delle forme temporali in quanto il presente implica fenomenologicamente il futuro. La coscienza si esplica così nell’azione attraverso una “interpenetrazione” di passato, presente e futuro […]. La “interpenetrazione” di passato, presente e futuro si determina nei modi più diversi come esplicazione della mia coscienza attraverso il suo “defluire” mediante le mie azioni» . È definita, in tal modo, la centralità della coscienza che si esplica e si dispiega attraverso il senso del passato, del presente e del futuro. La prospettiva temporale coscienziale è immanente a ogni comprensione e interpretazione dei fenomeni sociali in termini di «dover essere», superando così quei «limiti» relativi alle «modalità giuridiche» che, come si è visto, si manifestano a livello del tempo obiettivato. Affinché «il tempo coscienziale funzioni come prospettiva di comprensione della realtà sociale bisogna abbandonare la nozione bergsoniana della coscienza come pura interiorità contrapposta alla realtà sociale. […] Il tempo obiettivato nello spazio è un modo di essere del tempo coscienziale, un modo di essere che si costituisce come condizione di ogni descrizione empirica, come condizione di discorsi concernenti delle situazioni sociali e delle loro relazioni riducibili in termini numerabili» . Anche per Enrico Opocher, nel proporre la sua ontologia del diritto come valore, la riflessione circa la relazione tra diritto e tempo deve essere inquadrata attraverso la lettura dei due aspetti fondamentali che tale relazione comporta: la prospettiva del tempo che il diritto esprime in direzione di un recupero di una identità coscienziale e la dimensione temporale del diritto. «Nel primo caso si pone evidentemente in questione la prospettiva del diritto come valore e, più particolarmente, la compatibilità, nel valore assiologico del diritto, di “temporalità” e “universalità”. Nel secondo, si solleva una questione fondamentale profondamente connessa al contenuto specifico del diritto e cioè la questione dell’uso che il diritto fa del tempo e, insomma, di quello che si potrebbe definire come il “tempo giuridico”» . Le due questioni sono connesse tra loro, ma sembra che la prima sia fondante per lo schiarimento dell’intera problematica. Si tratta, afferma Opocher, di capire se è possibile attribuire al diritto dignità di valore o se, invece, esso vada considerato come mero strumento di controllo sociale. Innanzitutto va rifiutata quella concezione che sostiene che i valori sono tali solo se si pongono fuori dal tempo, al contrario «i valori valgono per il mondo umano. Sono tali in quanto vi appartengono. […] Il carattere universale della loro validità non ha, dunque, nulla a che fare con la “atemporalità”. Esso implica, piuttosto, la “continuità” attraverso il tempo. Il che significa che la validità assiologica del diritto esprime, sotto l’aspetto temporale, la continuità e dunque la inesauribilità della funzione giuridica. […] il diritto si incarna nella storia e ne sostiene il peso proprio perché è valore» . Ogni valore, quindi, si «incarna» nella storia di ogni uomo, si confronta con il farsi stesso di ogni esperienza nel senso di una «continuità» temporale. In tal senso, Opocher ritiene che la temporalità che il diritto come valore esprime è molto vicina a quella «durata» nella quale Bergson individua l’autentica essenza del tempo. Il diritto esprime il proprio condizionamento temporale attraverso la ‘consuetudine’ vista come figura giuridica nella cui essenza si incarna ogni valore, al di là della validità formale che le può essere riconosciuta dai singoli ordinamenti giuridici. Il confronto con il tempo si risolve nel capire cosa significa interpretare le tre dimensioni temporali (passato, presente, futuro) attraverso il diritto come valore. Per quanto riguarda il passato e il futuro, il diritto potrebbe, secondo una prospettiva ideologica, essere connotato come «conservatore» o «rivoluzionario», mentre, sul piano del presente, il diritto come valore si conforma alla positività formale. Questa considerazione introduce la prospettiva del «tempo giuridico» non prima che Opocher puntualizzi sul modo d’essere del diritto nel tempo nell’ambito della sua universalità di valore. «Mentre gli altri valori tendono ad assicurare la continuità temporale, vale a dire la loro universalità (anche se è chiaro che l’universalità dei valori non presenta il solo aspetto temporale) sorreggendo, nell’esperienza, quello slancio creatore che cancella ogni astratto limite temporale, il diritto sembra assicurarla proprio operando entro i limiti temporali» . Sul versante della «temporalità del diritto», Opocher costata che «termini, prescrizioni, usucapione (e anche, sotto il profilo temporale, finzioni e presunzioni) sono le fondamentali figure logiche che emergono da una simile prospettiva. Il “tempo giuridico” appare perciò come un tempo circoscritto, come un segmento della continuità temporale assolutizzato» . In tal senso, il tempo giuridico in quanto avulso dalla continuità temporale non è identificabile, come vorrebbe la «concezione normativa», con il futuro, né lo è con il passato come vorrebbe una tradizione di pensiero che risale all’«attualismo» gentiliano, nel senso della prospettiva del diritto come volontà, «volontà voluta», e, dunque, già passata. «Norma» e «volontà» rappresentano dunque i due poli antitetici dell’esperienza giuridica in quella contrazione che il tempo subisce nel diritto. Opocher sottolinea che il diritto può essere situato sotto l’aspetto temporale, al passato o al futuro solo da un punto di vista «metagiuridico», in una «visuale esterna» al diritto. Il tempo «subisce» una contrazione nel diritto: il passato e il futuro dell’azione non rappresentano perciò una contraddizione insita nel «tempo giuridico», ma piuttosto i due poli di «inserzione temporale» dell’esperienza giuridica nell’esperienza pratica. «Se consideriamo le specifiche figure temporali del diritto, ci accorgiamo che esse operano proprio nel senso di chiudere l’orizzonte giuridico tanto verso il passato (prescrizione), quanto verso il futuro (termini). […] Il “tempo giuridico” non è il passato […], e nemmeno il futuro. Esso è il presente o, meglio, un’assolutizzazione del presente che costituisce quasi una scialba immagine della durata del tempo ma che è tuttavia sufficiente a suggerire ed, anzi, a imporre l’idea della continuità del diritto» . Da una parte la temporalità del diritto che si risolve in positività formale, dall’altra la validità assiologica del diritto che trova la sua espressione, sotto l’aspetto temporale, nella continuità e nella inesauribilità della funzione giuridica. «Si tratta di considerare che il diritto come valore implica sempre, nella sua qualificazione dei comportamenti, l’accertamento dei fini metagiuridici della volontà dei soggetti o, meglio, il riconoscimento dell’azione per quello che è ed intende essere. […] Il rispetto della verità costituisce per il diritto, come d’altra parte per la stessa idea della giustizia, un presupposto necessario dal quale l’esperienza giuridica non può prescindere» . Portare avanti la riflessione per quanto concerne la definizione del «tempo giuridico», «del diritto come valore e di conseguenza sciogliere in maniera definitiva il nodo tra validità assiologica e validità formale nel rapporto diritto-tempo significherebbe procedere in tal senso dato che il diritto è valore proprio perché appartiene al processo di oggettivazione dell’esistenza, perché la sua funzione “significatrice” sorregge attraverso la storia, la continuità e la coerenza dell’umana libertà» . Le posizioni di Bagolini e Opocher, pur nelle rispettive differenze dovute ai diversi sistemi filosofici, trovano un terreno comune nell’esigenza di rappresentare una temporalità coscienziale che dia senso al fenomeno giuridico, anche alla stessa dovuta tecnicità, ma che non limitasse a quest’ultima, l’intera dimensione temporale del diritto. L’interpretazione fenomenologica di Sergio Cotta della relazione tra Diritto e Tempo si inserisce nella discussione, in linea con la necessaria distinzione tra tempo «tecnico» della normazione e tempo della coscienza nella declinazione della durata. Egli si interroga sul nucleo di senso del diritto nella esperienza temporale, nel proporre la durata come continuità diacronica, dinanzi alla intenzionalità della coscienza di cui partecipa il giuridico. Ma osservava Romano, nelle riflessioni a margine della tavola rotonda del 1981, che «il diritto, colto nella sua essenza fenomenologica, compare invece nella relazione come ciò che non solo situa il coesistere nell’unità della temporalità, ma in essa lo garantisce e dunque non è solamente un principio unitivo che libera i singoli dalla dispersione nella momentaneità conferendo durata, ma è ciò che garantisce durata. Così letta la diversa qualità temporale che appartiene ai vari principi unitivi del coesistere, si può dire che, fuori dal diritto, la relazione è sempre lasciata alla sola possibilità della ripresa della scelta comune, dunque è strutturalmente esposta al tempo dell’improvviso. Ciò che invece individua l’incidenza specifica delle temporalità del diritto è che esso entra nella relazione proprio liberando dall’angoscia della temporalità dell’improvviso» . Si tratta di incarnare il soggetto nella sua sfera patica, attraverso il giuridico nella misura in cui la dimensione ermeneutica della temporalità è attivata dall’agire della filosofia sul senso.

  • 4. Ermeneutica temporale e dimensione personalista

Il senso dell’ermeneutica temporale di Sergio Cotta si rivela pienamente nella ricerca di ciò che è al di là della contingenza, attraverso il fenomeno giuridico, ovvero la consapevolezza della strutturale relazionalità di un uomo e della sua comunità che trova posto nella storia della coesistenza mondana, in direzione di una fondazione ontologica nella persona umana. In tal senso, «Cotta cerca un modo nuovo di ripensare il diritto naturale fondandolo sulla persona umana, dialogando con grandi pensatori del suo tempo» . Questa «nuova via», che si propone di andare oltre la tradizione giusnaturalistica, guarda all’uomo che «vive nel mondo» ma si protrae anche «oltre» nel tentativo di «interpretarlo». La persona viene colta nella sua urgenza ontologica e relazionale in virtù di una dimensione fenomenologica che si «regola» attraverso il diritto e il suo proporsi nella temporalità. «Cotta […] ha presente sempre l’uomo vivente, l’uomo investigante, che cerca una verità globale, all’interno della quale si possa comprendere la specificità della persona» . La dimensione del diritto «libera» la persona dal suo stato di insicurezza, dato che esso è forma di vita di cui si può cogliere il senso e attraverso cui si lascia avvicinare l’essere proprio dell’uomo . La persona, in questa direzione, vive nella coesistenza disciplinata dal diritto, nell’incontro con l’altro, sia pur ricercando uno spazio che è quello delle istituzioni dove è necessario costituirsi come uomini e cittadini. Come scrive in Diritto persona mondo umano, «la persona è se stessa, e ha integrale coscienza di sé solo quale ente- in- relazione. Tale relazionalità non è il prodotto né della volontà personale né della imposizione d’un ente collettivo ideale o storico-assiologico. È determinazione ontologica e pertanto è condizione intranscendibile dell’esistenza umana» . Ritorna nel suo assoluto valore, la questione della temporalità. Per la persona, per ciò che significa nella coesistenza profonda, il tempo non potrà mai limitarsi alla delineazione cronologica, ma esprime l’incontro tra il mondo del vissuto e l’esteriorità come costituzione del mondo. Non ci si limita ad avere un ruolo ma si «è parte» nel duplice senso di essere il tutto e di – ciò nonostante – essere un auto consistente essere rispetto al tutto . Il diritto costituisce il «legame». Ma solo se esso rappresenta nella sua temporalità un plus di senso oltre il dato normativo. Solo se esso entra in «sintonia» con il «ruolo» e con la «parte» che ognuno di noi ha ed è. Si pensi, nell’esperienza giuridica, al ruolo del giudizio, dove «è in gioco non la mera applicazione di una norma appiattita sulla volontà del legislatore, ma la formazione e continua riscrittura di una regola intesa come unità dinamica di significato, capace di toccare la specificità dell’esperienza storica» . Un dimensione giuridica nella quale «implicare, per la valenza di relazionalità interpersonale che gli pertiene, quell’apertura universale che il diritto rende possibile, obbligando a “coltivare l’umano nell’altro umano” – ad “averne cura” come direbbe S. Cotta» . Tutto ciò trova la sua condizione di possibilità nel fatto che la persona è sempre «un radicale novum» mai copia, che pone allo stesso tempo nello stesso spazio unicità e parzialità, portatrice di libertà e di liberazione nel dire, nell’ascolto dell’altro.

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ISSN 2421-4302

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