La sociologia delle emozioni di Max Weber: un’analisi preliminare

L’ascesi puritana – come ogni ascesi «razionale» – lavorava al fine di rendere l’uomo capace di affermare e far valere i suoi «motivi costanti», specialmente quelli a cui essa lo «esercitava», di contro agli «affetti» (M. Weber, 2013, 180). La sociologia di Max Weber si distingue da tutte le teorie strutturaliste, ad esempio quelle in debito verso Emile Durkheim e Karl Marx, ma anche da quelle in qualche modo legate a George Simmel, e ciò soprattutto per l’orientamento verso il significato soggettivo e la comprensione interpretativa (Verstehen) che la caratterizzano. L’approccio weberiano ha consapevolezza di una gamma di motivazioni che stanno alla base dell’azione, tra cui figurano certamente le emozioni.

La principale fonte per una ricerca sulle solide radici che l’azione affettiva ha nella sociologia di Weber è costituita da Economia e società, la sua più importante opera sistematica[1]: in essa sono contenuti alcuni concetti cruciali per la presente ricerca. Ai fini di quest’ultima, altrettanto importante si rivela L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Nella disamina delle fonti religiose di uno «spirito del capitalismo», quest’ultima opera analizza, infatti, i modi in cui le emozioni mutano di intensità all’interno di una varietà di gruppi religiosi. Secondo Weber, l’azione affettiva era rigidamente limitata tra i seguaci di un importante gruppo (Trägergruppe) che forse più di ogni altro contribuì al primo sviluppo del moderno capitalismo: il Puritanesimo. Questo «Protestantesimo ascetico» fu influente per lungo tempo. E, sostiene Weber, le sue caratteristiche resteranno ben visibili, in manifestazioni secolarizzate, anche nell’epoca industriale.

Sebbene in modi diversi, Economia e società e L’etica protestante e lo spirito del capitalismo forniscono, insomma, interessanti analisi sulla posizione e sulla intensità delle emozioni nei mutevoli ambienti sociali. Pertanto, sembra doversi revocare in dubbio la diffusa opinione secondo cui la sociologia di Weber presta esclusiva attenzione all’azione razionale, trascurando l’azione affettiva.

Economia e società: i quattro tipi di azione sociale, le relazioni sociali e il potere carismatico

L’importanza delle emozioni per Weber è evidente in Economia e società. Qui egli si occupa di azione affettiva, principalmente, in tre distinte occasioni tematiche, costituite dai «quattro tipi di azione sociale», dalle relazioni sociali e dalle tipologie del potere.

I quattro tipi di azione

E’ necessario ricordare la fondamentale definizione che Weber dà della sociologia:

La sociologia […] deve designare una scienza la quale si propone di intendere in virtù di un procedimento interpretativo l’agire sociale, e quindi di spiegarlo causalmente nel suo corso e nei suoi effetti. Inoltre, per «agire» si deve intendere un atteggiamento umano (sia esso un fare o un tralasciare o un subire, di carattere esterno o interno) se e in quanto l’individuo che agisce o gli individui che agiscono congiungono ad esso un senso soggettivo. Per agire «sociale» si deve però intendere un agire che sia riferito – secondo il suo senso, intenzionato dall’agente o dagli agenti – all’atteggiamento di altri individui, e orientato nel suo corso in base a questo[2].

Questa definizione conduce Weber alla formulazione della sua fondamentale classificazione dei «quattro tipi di azione sociale». Per lui, l’azione sociale può essere adeguatamente concettualizzata attraverso il riferimento a uno dei seguenti quattro tipi di azione significativa: razionale rispetto allo scopo (zweckrational), razionale rispetto ai valori (wertrational), tradizionale (traditional) e affettiva (affektuell)[3]. Tutti i tipi di azione si trovano in ogni epoca e a ogni livello di civilizzazione[4].

Come notato, l’azione affettivamente fondata è «determinata da specifici stati sentimentali e affettivi dell’attore». Essa può comportare «una reazione incontrollata a qualche stimolo eccezionale». Inoltre: «l’azione è affettiva se soddisfa un bisogno, attualmente sentito, di vendetta o di gioia o di dedizione o di beatitudine contemplativa o di manifestazione di affetti»[5].

Con questa definizione Weber afferma la notevole importanza dell’azione affettiva per la sua ricerca sociologica; ma egli la ribadisce anche in altri due modi.

Le relazioni sociali

Secondo Weber, per relazione sociale «si deve intendere un comportamento di più individui instaurato reciprocamente secondo il suo contenuto di senso e orientato in conformità»[6]. Il contenuto di questa relazione può largamente variare, sottolinea Weber:

Lotta, inimicizia, amore sessuale, amicizia, reverenza, scambio di mercato, l’«adempimento» o l’«elusione» o la «rottura di una stipulazione, la «concorrenza» economica o erotica o di altro genere, la comunità di ceto o nazionale o di classe (nel caso che questi ultimi fenomeni producano, oltre a semplici legami di comunanza, un «agire sociale»)[7].

Perciò, secondo Weber, anche le relazioni sociali forniscono salde basi per l’azione affettiva. Inoltre, un certo tipo di relazione sociale – la vergemeinschaftete – lo fa in un modo particolarmente significativo, in quanto la «comunità» si basa «su una comune appartenenza soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale) degli individui che ad essa partecipano»[8]. Gli esempi di Weber comprendono «una confraternita, una relazione amorosa, una rapporto di reverenza, una comunità nazionale, una truppa tenuta insieme da legami di cameratismo»[9]. La famiglia rappresenta molto bene questo tipo di relazione. Secondo Weber, «la grande maggioranza delle relazioni sociali ha però in parte il carattere di una comunità, ed in parte il carattere di un’associazione  (vergesellschaftete[10]. Persino nelle relazioni di affari basate sul mero calcolo, come quella tra commercianti e clienti, nel tempo possono subentrare emozioni e sentimenti:

In tal senso va, seppure in misura anche assai diversa a seconda dei casi, qualsiasi associazione che vada al di là dell’agire attuale di una unione di scopo, che instauri quindi relazioni sociali di lunga durata tra le medesime persone e che non sia fin dal principio limitata a particolari prestazioni oggettive: di questo genere sono, ad esempio, l’associazione nello stesso reparto militare, nella stessa classe scolastica, nello stesso ufficio[11].

Anche qui, dunque, riferendosi alla relazione sociale, Weber tematizza in modo significativo l’azione affettiva all’interno della sua sociologia comprendente. Non diversamente egli fa, infine, in relazione alla sua tipologia del potere (Herrschafstypologie).

Il potere carismatico

La tipologia delle forme di potere è fondamentale non solo in Economia e società ma nella sociologia di Weber più in generale. Considerando (anche) il passato e, ampiamente, le diverse civiltà, egli individua tre tipi «puri» di potere legittimo. Tale legittimità può essere:

1) di carattere razionale – quando poggia sulla credenza nella legalità di ordinamenti statuiti, e del diritto di comando di coloro che sono chiamati ad esercitare il potere (potere legale) in base ad essi; 2) di carattere tradizionale – quando poggia sulla credenza quotidiana nel carattere sacro delle tradizioni valide da sempre, e nella legittimità di coloro che sono chiamati a rivestire una autorità (potere tradizionale); 3) di carattere carismatico – quando poggia sulla dedizione straordinaria al carattere sacro o alla forza eroica o al valore esemplare di una persona, e degli ordinamenti rivelati o creati da essa (potere carismatico)[12].

 

Per quanto qui interessa sottolineare, il potere carismatico si differenzia sensibilmente sia da quello tradizionale che da quello «razional-legale». Esso è caratterizzato da una diffusa credenza tra un gruppo di persone avente a oggetto persone particolari e considerate dotate di caratteristiche straordinarie, di poteri eccezionali e personalità non comuni. L’obbedienza alle loro dichiarazioni e ai loro comandi si basa proprio su questa credenza. Esempi di questa attribuzione di carisma possono trovarsi in ambiti sia religiosi (Gesù Cristo, Buddha, i profeti del Vecchio Testamento e Maometto) che secolari (Lenin, Hitler e Martin Luther King). Inoltre, alla base di questo tipo di potere vi è un legame emozionale tra il leader e i suoi seguaci; infatti, tale legame affettivo rende questa relazione insolitamente intensa e costituisce la base per una «comunità carismatica»[13].

Insomma, concetti fondamentali della maggiore opera analitica di Weber, quali certamente sono l’azione affettiva, le relazioni sociali e il potere carismatico, appaiono significativamente intrisi di emozioni. Nondimeno, l’attenzione rivolta finora qui alla posizione concettuale delle emozioni nella sua sociologia non esaurisce il quadro dell’effettiva importanza che esse hanno per lui. Le emozioni giocano, infatti, un ruolo rilevante anche nei suoi studi storico-comparativi. Sia Economia e società che L’etica protestante e lo spirito del capitalismo delineano la marginalizzazione delle emozioni all’interno di importanti temi weberiani, quali il carattere unico dell’Occidente capitalista, industriale e urbano, e il suo peculiare tipo di sviluppo. È questo il tema che deve essere ora brevemente affrontato[14].

Dapprima considererò la descrizione generale dell’Occidente industriale operata da Weber, quindi mi soffermerò su una preminente forza causale presente nella sua analisi dello sviluppo dell’economia occidentale verso il moderno capitalismo: lo spirito del capitalismo. Economia e società costituisce la fonte centrale per il primo tema, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo per il secondo.

L’Occidente moderno, capitalista, urbano e industriale: la marginalizzazione delle emozioni

Con il sorgere delle moderne società industriali, afferma Weber, alcune importanti sfere della vita sociale arrivano ad acquisire una significativa capacità causale indipendente (o Eigengesetzlichkeit). Rispetto al modesto grado in cui ciò si verificava nelle società agrarie e feudali, in cui tali sfere erano in buona misura collegate tra loro, nelle società industrializzate le sfere dell’economia, del potere (politico) e della legge si sviluppano in termini di ben maggiore, per così dire, autoreferenzialità riguardo alle «loro proprie» questioni e ai «loro propri» problemi.

Per Weber, in questi ambiti, o sfere di vita, le relazioni nelle epoche preindustriali comprendevano un elemento personale. Per esempio, sotto il potere feudale il contadino conosceva il padrone della tenuta. Inoltre, diritti e doveri da entrambi i lati erano specificati da un contratto feudale che doveva rimanere inviolabile malgrado una distribuzione di potere chiaramente asimmetrica. Se il padrone esercitava il suo dominio in modi che andavano oltre i limiti del costume e delle convezioni accettate, il contadino poteva protestare – secondo antichissimi modi – direttamente col padrone. In ragione del carattere personale di questa relazione, un legame emozionale tra il dominante e il dominato poteva ben svilupparsi e poteva servire a regolare questa relazione. Similmente, anche se asimettriche, le relazioni economiche nelle economie feudali potevano significativamente comprendere un elemento personale. E in modo analogo possono essere caratterizzate anche le relazioni legali pre-industriali.

La disamina delle società altamente urbanizzate e industriali rivela sostanziali cambiamenti. Nella sfere dell’economia, del potere politico e della legge le relazioni impersonali diventano predominanti, afferma Weber. Nella sfera dell’economia, le leggi del mercato determinano la produzione e lo scambio di prodotti, oltre che assunzioni e licenziamenti. Sia per quanto riguarda l’acquisizione di un mutuo per la casa da parte di un individuo che per quanto riguarda la richiesta da parte di un’impresa di un prestito bancario, il processo decisionale si svolge attraverso criteri «oggettivi» (sachlich). Rapporti di credito, vicende legate a ricompense o rimborsi, bilanci e livelli di reddito sono più importanti delle relazioni personali o delle caratteristiche delle persone[15]. «L’universo economico oggettivato», afferma Weber, «era una struttura alla quale l’assenza di amore ineriva fino alle radici»[16]. Analogamente, nella sfera della legge, i giudici decidono con riferimento ai precedenti legali e (in alcuni stati) alla Costituzione. I casi devono «adattarsi» e «allinearsi» strettamente alla legge. Devono prevalere le procedure formal-razionali «senza riguardo per le persone»[17].

Anche l’organizzazione burocratica svolge operazioni in modo estremamente impersonale. Responsabilità e compiti sono determinati da una salda gerarchia e catena di comando, da linee di sovraordinazione e subordinazione e «posizioni» e «cariche» assai ben definite. Le prestazioni seguono linee di lavoro precise e le valutazioni avvengono sulla base di criteri imparziali. Similmente, a determinare assunzioni e promozioni sono procedure pre-stabilite, attestati e punteggi legati ad esami. Il funzionario, «lo specialista», e «il manager» sono tutti collocati entro questo ambiente sociale ricco di regole, prescrizioni, e leggi. Conta molto meno la valutazione delle persone, delle loro qualità peculiari, delle loro personalità e delle loro emozioni:

La burocrazia [si sviluppa tanto più perfettamente] quanto più essa si «disumanizza» […], [il che] comporta la esclusione dell’amore e dell’odio, di tutti gli elementi affettivi puramente personali, in genere irrazionali e non calcolabili [e tutto ciò è apprezzato dal capitalismo come una sua speciale virtù][18].

Weber afferma che le sfere del potere, dell’economia e della legge hanno sperimentato un’enorme trasformazione lungo queste linee con lo sviluppo dell’industrialismo alla fine del diciannovesimo secolo e all’inizio del ventesimo. Le relazioni funzionali e associative (vergesellschaftete) e i processi decisionali a esse legati divennero predominanti. Tra le altre conseguenze, questo cambiamento implicò una generale marginalizzazione delle emozioni in questi ambiti, sottolineò Weber. Nei posti di lavoro dominati da una enorme burocrazia, nelle aule di giustizia, e negli uffici dei proprietari di fabbrica, dei finanzieri e dei banchieri, le relazioni affettive appaiono del tutto sacrificate a favore di criteri valutativi impersonali e di un ethos ispirato a «terminare il lavoro». La conseguenza è chiara per Weber: definite come disfunzionali nelle sfere del potere, dell’economia e della legge, la compassione e i sentimenti (più) profondi vibrano solo negli ambiti delle relazioni private e familiari. Limitate rigidamente altrove, le emozioni sono sostanzialmente relegate in suddette sfere:

Non è accidentale che […] oggi soltanto all’interno delle comunità più piccole, nel rapporto da uomo a uomo […] pulsi quel qualcosa che corrisponde a ciò che un tempo pervadeva come un soffio profetico, in forma di fiamma impetuosa, le grandi comunità, e le teneva insieme[19].

Un’adeguata analisi causale di questa trasformazione di vasta portata non può che fare riferimento, per Weber, a un significativo intreccio di passato e presente, a una larga gamma di tendenze relative ai modelli di azione e alle stesse più concrete interazioni dinamico-congiunturali tra le molte forme di azione. Tale analisi evita le spiegazioni lineari di Durkheim (la crescente «densità morale») e Parsons (la differenziazione in espansione), come pure l’enfasi da parte di Marx sul potere assoluto della borghesia e sulla sua capacità di utilizzare nuove tecnologie in nome di uno sfruttamento di larga portata del proletariato. Sebbene l’analisi multi-causale e pluridimensionale di Weber attenda una più estesa tematizzazione, deve senz’altro sottolinearsi l’importante ruolo che egli attribuisce agli orientamenti «profondamente culturali». Essi si presentarono in una forma pura col Puritanesimo in Inghilterra e nella Nuova Inghilterra. Dobbiamo soffermarci ora sull’analisi di Weber relativa al modo in cui tale Protestantesimo ascetico limitò severamente le emozioni.

L’etica protestante e lo spirito del capitalismo: la fuga puritana dalle emozioni

Il Puritanesimo apparve nel diciassettesimo secolo fondamentalmente come esito delle revisioni alla dottrina della Predestinazione di Giovanni Calvino (1509-1564) operate in Inghilterra da un gruppo di ministri del culto e teologi conosciuti come Teologi puritani[20]. Secondo la dottrina calvinista, un imperscrutabile Dio del Vecchio Testamento, onnisciente o onnipotente, decise inequivocabilmente e per sempre che solo pochi eletti dovessero essere salvati[21]. Nondimeno, in questa epoca intensamente religiosa i fedeli continuarono a cercare una risposta all’essenziale e rovente domanda: «Sono io tra i salvati?». Ora, sulla base delle revisioni formulate dai Teologi puritani, ai fedeli si offrì una speranza. Quali attività o modi si rivelarono fondamentali e come essi intensificarono o compromisero le emozioni? Il lavoro e la ricerca del profitto e della ricchezza diventarono il fulcro della vita dei Puritani.

Per i fedeli, si può dire che il comando divino fondamentale divenne il lavoro praticato metodicamente. Inoltre, al fine di onorare e glorificare Dio, si ritenne da parte dei fedeli di dover orientare la loro breve vita alla costruzione del suo regno terreno, fatto di giustizia e abbondanza. E questo compito poteva essere raggiunto solo attraverso il lavoro sistematico. Un lavoro così costante (e metodico) limitò gli impulsi fondamentali, le tentazioni profane e le più vive emozioni, oltre alla soffocante ansia del credente riguardante la questione della salvezza. Perciò, esso favorì lo spostamento del pensiero e delle energie verso Dio e i suoi comandamenti.

Tuttavia, un tale controllo dei desideri e una così indefessa pratica di lavoro si rivelarono difficili da sostenersi. Coloro che vi riuscivano consideravano la loro capacità di organizzare le loro vite attorno al lavoro soltanto come il risultato di una forza interiore derivante da Dio; e soprattutto: il fedele riteneva che un tale dono da parte di Dio fosse riservato solo agli «eletti», vale a dire ai destinati alla salvezza. In definitiva, quelli che acquisivano quella ricchezza deputata a glorificare in terra il regno di Dio erano consapevoli del fatto che i loro risultati non erano arrivati per caso: la loro capacità di esaltare in questo modo la gloria di Dio costituiva essa stessa l’evidenza (Beweis) dell’intervento a loro favore da parte del Dio onnipotente. E solo i prescelti, di ciò essi erano convinti, potevano ricevere un tale favore; si trattava di un segno (Merkmal) mandato loro. Ricchezza e profitto venivano così ulteriormente santificati, secondo Weber: un «premio»[22] (psicologico) era in sostanza accordato loro.

Questa dinamica socio-psicologica portò a un ri-posizionamento del lavoro, del profitto e della ricchezza: il Puritanesimo mise tutto ciò al centro della vita. Inoltre, le attività quotidiane acquistarono una forma rigorosa e disciplinata o, detto in altre parole, metodica. Organizzando le intere loro vite in modo sistematico, come Weber nota citando il mistico tedesco del sedicesimo secolo Sebastian Franck, i fedeli «diventavano monaci», ma non chiusi nei monasteri come nel caso dell’ascetismo extra-mondano, bensì nel mondo (ascesi intramondana)[23]. E nella prospettiva di questo divorante perseguimento della redenzione, così intensamente focalizzato sul lavoro, sul profitto, sulla ricchezza e sul raggiungimento della certitudo salutis, le emozioni non potevano che risultare prive di valore: considerate come distruttive e di ostacolo verso tutto ciò che era proteso verso la salvezza[24]. In ragione di tale importantissimo obiettivo, i fedeli erano convinti che ci si dovesse disciplinatamente sforzare a limitare l’azione affettiva[25].

Orientata in un modo estremamente rigoroso verso compiti, obiettivi, lavoro e ricchezza, questa «Etica protestante» creò un tipo di personalità completamente nuova, sostenne Weber[26]. Tale etica contribuì in modo significativo anche a quello che può considerarsi il prodotto secolare e a lungo raggio del Puritanesimo: lo «spirito del capitalismo». Portata dalle sette[27] e poi dalla chiese, questa struttura mentale (Gesinnung) nel diciottesimo e diciannovesimo secolo divenne particolarmente diffusa, non solo nella Nuova Inghilterra. Essa favorì il sorgere del moderno capitalismo e della moderna burocrazia[28]. In effetti, questo «spirito» anticipò un tipo di personalità o di umanità (Menschentyp) che si sarebbe perfettamente adattato ai più tipici ritmi dei posti di lavoro moderni.

Modalità interne ed esterne nella limitazione delle emozioni

Secondo Weber, sia gli aspetti esterni dell’epoca industriale (le sue organizzazioni burocratiche, le procedure legali dal carattere formal-razionale e la moderna economia capitalistica) che le sue caratteristiche interne (i valori frequentemente basati sul Puritanesimo) sono in una relazione di chiara opposizione con le emozioni. E tutte le società altamente burocratizzate non solo limitano l’influenza dei leader carismatici, egli sostiene, ma ridimensionano anche fortemente quella concorrenza di valori necessaria per il nutrimento del pluralismo sociale e conseguentemente per alleanze di gruppo. Se solidi, i legami di gruppo danno vita a impegni emozionali verso una «causa». Weber afferma che, quando nelle società mancano queste dinamiche, sono gli orientamenti strettamente utilitaristici verso gli interessi a prevalere all’interno delle varie sfere sociali. Si tratta di un «razionalismo pratico» che fa degli interessi propri dell’individuo e dei suoi calcoli pragmatici qualcosa di fondamentale destinato poi a solidificarsi ed espandersi. Privo di valori ed emozioni, tale razionalismo tende a diffondersi ulteriormente.

Malgrado questa analisi, Weber non può essere classificato, come è spesso accaduto, come un pensatore romantico che agogna un passato puro fatto di relazioni orientate verso la persona e basate su emozioni supposte come più umane e giuste. È ben documentabile, invero, la sua ambivalenza verso la modernità industriale, urbana, capitalista e caratterizzata da relazioni impersonali e funzionali. Weber era assolutamente consapevole del fatto che solo le organizzazioni burocratiche potessero ottenere alti livelli di efficienza, necessari ai fini di standard di vita fino a quel momento inimmaginabili. Inoltre, resta risoluta la sua difesa del ruolo della legge, nonostante quest’ultima e la sua esecuzione richiedano attività formali e impersonali. Malgrado la sua «base meccanica»[29], un capitalismo orientato verso il mercato implica pluralismo sociale (e quindi attaccamento ai gruppi sociali) ben più del socialismo, che pure, egli affermò, è costitutivamente e strettamente legato a meccanismi burocratici[30]. Weber sostenne ciò in modo infaticabile e in moltissimi interventi durante gli ultimi dieci anni della sua carriera.

Per fronteggiare – ed eventualmente rinviare nel tempo – lo sviluppo di una società altamente burocratizzata così poco incline al pluralismo sociale e a relazioni basate sulle emozioni, Weber avvertiva la necessità di un’istituzione capace di favorire leader potenti su basi durature. Egli era convinto, al riguardo, che parlamenti forti potessero offrire un campo di addestramento per figure carismatiche. Diversamente da impiegati e funzionari, tali figure sarebbero portate ad assumere posizioni radicate sui valori; e le capacità di leadership vi sarebbero ulteriormente coltivate. Inoltre, l’articolazione di etiche basate sui valori da parte di un leader sarebbe in grado di destare quella «devozione verso una causa», affermò Weber, attraverso cui fornire ai valori la capacità di fronteggiare in modo diretto la razionalità formale del funzionario e l’organizzazione pratico-razionale della vita generalmente preminente in tale «cosmo moderno impersonale». All’interno di un tale processo, si limiterebbe la diffusa tendenza di funzionari ed impiegati inclini verso procedure e leggi formali ad estendere la loro influenza sulle questioni politiche.

In definitiva, se emergono leader in grado di ergersi nella vita pubblica a difensori di posizioni ancorate ai valori, non può che risvegliarsi anche la responsabilità individuale, vale a dire una «etica della responsabilità». A loro volta, risulterebbero ulteriormente difese quelle «cause», si formerebbero quelle alleanze di gruppo e si intensificherebbero quegli impegni emozionalmente carichi cui si è fatto prima riferimento. Piuttosto che basata su interessi e radicata su una calcolante Realpolitick, la politica dove implicare questa appassionata «lotta sui valori», affermò Weber[31]. Secondo lui, dovrebbe diffondersi e in qualche modo cristallizzarsi un confronto, anche uno scontro di livello moderato tra un modo pratico-razionale di organizzare la vita e uno orientato verso le azioni ispirate ai valori e basato sulla sfera affettiva. In questo modo, si svilupperebbe gradualmente una cittadinanza attiva diretta verso diverse costellazioni di valore. A tempo debito, i cittadini risulterebbero protetti contro ogni passiva tendenza «a essere guidati alla stregua di un gregge di pecore»[32].

Cosa rara tra i sociologi, Weber fornisce una analisi che riconosce su una base regolare l’importanza degli sviluppi a livello macro(-sociologico) per il destino delle emozioni. La loro diminuzione e marginalizzazione si verifica, secondo il sociologo tedesco, come una conseguenza di certe costellazioni «interne ed esterne», così come il loro rafforzamento e la loro espansione avvengono quale esito di altre configurazioni «interne ed esterne».

Stephen Karlberg (traduzione di Paolo Iagulli)

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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[1] L’azione affettiva costituisce l’epicentro di ogni analisi che intenda mettere a tema le emozioni nella sociologia di Weber. Anzitutto, solo il tipo-ideale dell’azione affettiva ha una posizione sistematica nella sua sociologia (si veda più avanti); inoltre, si consideri la strettissima relazione con l’azione basata sull’affetto emergente dalla seguente fondamentale definizione: «l’azione sociale [può essere] determinata affettivamente, e specialmente dalle emozioni, cioè da affetti e da stati attuali del sentire» (M. Weber, 1995a, 22). Peraltro, se si escludono i passaggi sotto riportati, né gli scritti metodologici né quelli empirici prendono in considerazione questo tipo di azione in modo sistematico, e neppure forniscono distinzioni al riguardo. Nondimeno, dal momento che, secondo Weber, le emozioni sono strettamente legate agli affetti, questi termini possono essere usati come sinonimi. Alle passioni (Leidenschaften) che pure sono in qualche modo sovrapponibili con gli affetti, Weber si riferisce più negli scritti politici che nei testi (più strettamente) sociologici, che sono quelli che qui più ci interessano. Si veda anche R. Schützeichel, 2010, 104-106 e 111-116.

[2] M. Weber, 1995a, 4.

[3] Cfr. ivi, 21-23.

[4] Si veda anche S. Kalberg, 2008, 32-33.

[5] M. Weber, 1995a, 22.

[6] Ivi, 23.

[7] Ivi, 24.

[8] Ivi, 38.

[9] Ivi, 39.

[10] Ibidem.

[11] Ibidem.

[12] Ivi, 210.

[13] Cfr. ivi, 210-211 e 238-242, e, più ampiamente, M. Weber 1995d, 218-268.

[14] La presente indagine non mira ad offrire una completa rassegna del ruolo delle emozioni nella sociologia di Weber. In ragione della sua attenzione centrata sull’Occidente sviluppato e in via di sviluppo, essa non considera la sua analisi delle emozioni relativa, ad esempio, al misticismo extra-mondano (i monaci buddisti), al misticismo intramondano (dei brahmani induisti classici), e in particolare agli intellettuali confuciani (cfr. Weber, 1995b, 209 ss.); e neppure quella relativa al Cattolicesimo e al Luteranesimo, oltre che a una quantità di confessioni riconducibili al Protestantesimo ascetico, specialmente il Pietismo, il Metodismo e il Quaccherismo (cfr. M. Weber, 2013 e 1995b, 229 ss.). Infine, il presente breve studio non considera neppure i modi in cui, secondo Weber, se tra gli scienziati sociali deve prevalere un ethos del Wertfreiheit, non può che seguirne una sublimazione e restrizione delle emozioni (cfr. M. Weber, 2004b e 2001). Per queste ragioni, è necessario sottolineare qui il carattere preliminare della presente indagine.

[15] Cfr. M. Weber, 1995b, 268-269 e 1995d, 300-301.

[16] M. Weber, 2008, 630.

[17] S. Kalberg, 2008, 89; più in generale, sulla sua sociologia del diritto si veda naturalmente M. Weber, 1995c.

[18] M. Weber, 1995d, 76. Deve tenersi presente che qui Weber ricorre a concetti, vale a dire a «tipi ideali».

[19] M. Weber, 2004b, 43.

[20] Cfr. M. Weber, 2013, 171 ss.

[21] Cfr. ivi, in part. 160-165.

[22] M. Weber, 2013, 105.

[23] Cfr. M. Weber, 2013, 181-182 e 213-214.

[24] Sull’estrema solitudine interna e sulla svalutazione delle relazioni personali quali conseguenza di questa dottrina, si veda M. Weber, 2013, in part. 165-167.

[25] Per i Puritani, deve anche notarsi, ogni coltivazione di emozioni implicava una «auto-glorificazione», o idolatria (Kreaturvergoetterung), e ciò doveva essere evitato ad ogni costo perché collocava i bisogni e i voleri dei credenti al di sopra del loro obbligo primario: un inequivocabile impegno verso Dio e verso il Suo grande disegno. La sua maestà doveva essere servita solo in questa maniera: «[è] punito ogni eccesso di simpatia per gli uomini, quale espressione di una divinizzazione del creaturale negante l’esclusivo valore del dono divino della salvezza» (M. Weber, 1995b, 232). Per Richard Baxter, l’autore del più completo trattato sulla Etica Puritana, Christian Directory (1673), tutte le passioni ed emozioni dell’uomo non soltanto sono in contrasto con la «ragione» data a lui da Dio, ma tendono anche a distrarre i fedeli dal rapporto razionale che ogni suo agire e sentire dovrebbe avere con Dio (cfr. M. Weber, 2013, 180, nota 86). Un’attività di costante disciplina delle emozioni e la loro soggezione a una risoluta forza di volontà rimase l’ideale pratico del Puritanesimo, come lo era stato del monachesimo cattolico (cfr. M. Weber, 2013, 180)

[26] Cfr. M. Weber, 2013.

[27] Sul modo in cui le sette protestanti in America limitarono potentemente le emozioni, si veda anche S. Kalberg 2011, 183-208.

[28] Cfr. M. Weber, 2013, in part. 214 ss.

[29] M. Weber, 2013, 240.

[30] M. Weber, 1995d, 499-501.

[31] Cfr. M. Weber, 2004a.

[32] Cfr. M. Weber 1978, 282.

Economy and Society, emotions, Max Weber, The Protestant Ethic and the Spirit of Capitalism

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