La «conversione» del soggetto. Dall’ascetismo alla rivoluzione

di Filippo Corigliano

«Era uno di quegli esseri russi idealisti che una qualche idea
potente colpisce tutt’a un tratto e sembra schiacciare di colpo col
proprio peso, talora anche per sempre. E di venirne a capo essi non
hanno mai la forza, ma credono appassionatamente, e così tutta la loro vita
passa poi come in preda alle estreme convulsioni sotto la pietra
che si è abbattuta su loro e li ha già schiacciati a mezzo».
F. Dostoevskij, I demoni

1. Rivoluzione e rigenerazione

Il concetto di rivoluzione reca in sé un aspetto intrinseco che ruota intorno a un’idea centrale: la rigenerazione. Al di là degli elementi etimologici del termine rivoluzione, in questo caso ci si riferisce piuttosto a qualcosa che riguarda gli esiti, le aspettative, le potenziali conseguenze che da ogni rivoluzione derivano; ci si aspetta che una rivoluzione capovolga un certo ordine sociale, che produca un mutamento profondo dei costumi e degli assetti politici, che rinnovi lo scenario e i soggetti che ne fanno parte. Questa dinamica genera un cambiamento che interessa coloro che ne sono coinvolti, indirizzando sentimenti, passioni ed emozioni verso una meta comune, come se fosse «un viaggio nel tempo, che convoglia su questo percorso parte delle aspirazioni dislocate in precedenza nell’aldilà» (1).
Il tempo diviene l’anticamera che prepara il passaggio da un ordine all’altro, si pone come intermezzo che scandisce il momento decisivo della transizione: «un tempo dell’attesa precede e accompagna le rivoluzioni moderne»(2). Un’attesa che è tutta protesa verso il futuro e che implica il sacrificio, richiede uno sforzo interiore volto a mantenere salda la fede alla propria causa. La rivoluzione spinge per la realizzazione terrena di aspirazioni rivolte all’aldilà, si fa interprete su questa terra di sentimenti e aspettative che riponevano la speranza in un’altra vita (3). Coloro che credono nella causa della rivoluzione nutrono verso di essa una totale fiducia e vi aderiscono con altrettanto fervore.
In un passo del romanzo I fratelli Ashkenazi, lo scrittore polacco Israel J. Singer, riferendosi a uno dei protagonisti, scrive:

«Ma lui non aveva rinunciato alla speranza. Sapeva che nella lunga lotta tra libertà e tirannia dovevano esservi battute d’arresto, vi sarebbero state delle battaglie perdute, prima del giorno della vittoria finale. Credeva ancora nell’inevitabilità della rivoluzione, poiché continuava a vedere la concentrazione della ricchezza procedere nel suo feroce cammino secondo leggi ineluttabili, finché sarebbe giunta al punto di rottura, e allora il millenario dispotismo sarebbe finalmente crollato e sarebbe sorta l’alba del giorno in cui non vi sarebbero state più distinzioni tra le classi, tra le nazioni, tra le religioni. Sarebbe allora cominciata la grande èra della libertà; l’umanità sarebbe stata mondata dall’oppressione, dall’odio, dall’invidia, da tutte le bassezze e le meschinità che insozzavano la specie umana. Vedeva tutto questo con la stessa chiarezza con cui il padre aveva visto la venuta del Messia, e vi credeva con altrettanto fervore» (4).

Lo stesso fervore di fede che si ha verso una religione anima lo spirito rivoluzionario; dal padre al figlio, nello spazio/tempo di una generazione, si assiste al passaggio dalla credenza religiosa a una fede secolare e depurata da speranze sovra-terrene. Il principio che muove la rivoluzione assume la medesima valenza escatologica della religione e persegue la realizzazione di un tempo in cui ogni male verrà sanato, promette un mondo dove tutto verrà ricondotto alla purezza delle origini (5). Si tratta, come scrive Lucien Jaume, di un «retour à»(6), di un ritorno a uno stato primordiale attraverso una rinascita. Rinascita e rigenerazione, intese in questi termini, implicano un passaggio che tende a mostrare qualcosa di realmente nuovo, di migliore, di moralmente più degno. Proprio nel caso della Rivoluzione francese emergono con maggiore incidenza questi caratteri; una rivoluzione che nasce e si sviluppa nel rifiuto dell’ancien régime e individua come punto di approdo il ritorno alle antiche glorie di Roma, Sparta e Atene; ma anche al Vangelo cristiano, aggiunge ancora Jaume (7).
In quest’ultimo caso, si tratta in particolare dello sviluppo concettuale di una dottrina della Rivoluzione che assume i tratti identitari simili a quelli del credo religioso cristiano; non a caso uno degli aspetti costitutivi della rigenerazione passa attraverso il battesimo, il quale annulla il peccato originale e introduce a una nuova dimensione di fede in «vesti» del tutto purificate. La fonte del concetto di rigenerazione è di carattere religioso e nel passaggio rivoluzionario si assiste a una sorta di «transfert di religiosità» (8).
Vi è da dire, però, che il carattere messianico della rivoluzione è assunto perlopiù come mezzo ideologico, e che il perseguimento degli obiettivi viene condotto per mezzo di un’attitudine più pragmatica; ciò non esclude che i soggetti protagonisti, coinvolti dall’impeto rivoluzionario, ispirino la propria condotta di vita a principi e valori che traggono origine dal credo religioso. È proprio quella che viene definita come «tensione palingenetica» (9) ad alimentare la spinta rivoluzionaria, a mantenerla costante e sempre ben indirizzata verso una meta finale; l’anelito che aspira a un radicale mutamento di ordine deve essere continuamente sostenuto da un orizzonte progettuale. Così il tempo dell’attesa si fa denso di eventi, spesso e necessariamente traumatici (10), in modo che l’energia collettiva si saldi definitivamente con una determinata e rinnovata visione del mondo. Affinché ciò si compia, è fondamentale che coloro che prendono parte al nuovo progetto riformatore si sentano posti al centro di una cesura storica, epocale, e assumano la consapevolezza di poter ricostruire il proprio destino.
L’Illuminismo, che prepara il terreno alla Rivoluzione, avvia una profonda fase di trasformazione culturale e introduce la centralità del discorso pedagogico: l’impeto rivoluzionario va rimodellato, indirizzato verso un fine comune e ben definito. La dottrina della Rivoluzione ridisegna i caratteri di riferimento e inaugura una fase inedita di disciplinamento del corpo collettivo: il soggetto è collocato al centro di questo scenario; «non va dimenticato che ogni tipo di pedagogia – e non solo quella dei Lumi – è implicitamente o esplicitamente antropocentrica; si fonda cioè su un dispositivo volto a creare nuove soggettività e proiettarle verso un futuro ideale» (11).
La figura dell’uomo nuovo si sviluppa proprio a partire da una differente configurazione del soggetto che emerge dal reticolato di relazioni sociali e che la Rivoluzione contribuisce a incrementare e favorire; la messa in atto di un vasto processo di socializzazione di massa assume un peso determinante proprio nella definizione dei caratteri specifici del soggetto rivoluzionario. Proprio perché la rivoluzione riconduce il tempo storico a un «anno zero», vi è la necessità di porre interventi risolutivi nell’educare i nuovi cittadini alla mutata realtà (12), al fine di indirizzarli e guidarli nella costruzione della Città ideale (13).

2. Educare alla rivoluzione

Ogni rivoluzione reca in sé dei tratti utopici. E proprio le utopie possiedono una spiccata propensione per la pedagogia sociale (14). Il nuovo corso della storia che la Rivoluzione inaugura è costellato da nuovi codici di comportamento, si sviluppa su un solido impianto di «dispositivi» atti a plasmare la condotta individuale. Le virtù che scaturiscono dal processo rivoluzionario e che contribuiscono a renderlo possibile equivalgono a norme alle quali è necessario adeguarsi, piegando la propria volontà. Non sono consentiti scostamenti o deviazioni: «norme sociali e diritto si confondono» (15). Si potrebbe aggiungere che sono le norme sociali a configurare in maniera differente la stessa produzione giuridica, innestandosi su un campo di rapporti di potere diverso da quello del classico impianto della sovranità moderna (16).
Porsi da questa prospettiva di analisi significa inquadrare il potere non tanto nella sua forma assolutistica, gerarchica e centralizzata, quanto piuttosto nella sua capacità generativa e produttiva di relazioni, di comportamenti, di «soggettivazioni ovvero forme di vita dei soggetti» (17).
La rivoluzione è costituita da un campo aperto di forze attraverso cui si sviluppano, si affermano e si diffondono svariate forme di soggettivazioni; il caso emblematico della creazione di un soggetto rivoluzionario corrisponde all’adesione a modelli e codici comportamentali determinati ed esplicitati dal discorso rivoluzionario. In questo scenario si compone il doppio volto dell’individuo moderno e borghese: da una parte l’individuo giuridico che rivendica per sé l’esercizio del potere, adempiendo all’atto simbolico della decapitazione del sovrano e istituendo un nuovo ordine (18); dall’altra l’individuo disciplinare che diviene il collante di trasmissione tramite il quale e sul quale viene esercitato il nuovo potere (19).
Il corpo del singolo diviene materia da plasmare, così come il formarsi di un corpo collettivo procede per mezzo dell’adeguamento ai parametri di volta in volta stabiliti all’interno della dinamica rivoluzionaria. Emergono, così, codici e condotte di vita che vanno a definire il profilo del rivoluzionario, condizionandone il carattere, le abitudini e le gesta. Ma i parametri non vengono stabiliti una volta per tutte, piuttosto rappresentano l’esito dei rapporti di potere e di forze che si affermano e si susseguono, dettando equilibri e tempi durante tutta la fase rivoluzionaria (20). Si genera, in tal modo, una dialettica tra l’individuo e il collettivo, fra interesse particolare e interesse generale: la virtù viene innalzata a regola costitutiva del processo rivoluzionario ed essa consiste nel trionfo della causa, nella salvezza della patria (21). È all’interno di questo contesto che si «forma» il soggetto, in base «ai criteri di socializzazione del campo» (22). Seppure i capovolgimenti rivoluzionari incentivano un certo protagonismo individuale, questo non può compiersi al di là dei modelli già tracciati e al di fuori degli schemi definiti dal protrarsi degli eventi rivoluzionari. Gli stessi comportamenti individuali sono tenuti strettamente sotto controllo e sottoposti a un insieme di verifiche e inchieste indirizzate a vagliare l’adesione o meno alla pratica rivoluzionaria. Le biografie vengono coinvolte in un vasto e approfondito processo di conoscenza per mezzo di tecniche di indagine e questionari (23); l’emergere della società disciplinare si proietta con maggiore intensità all’interno del contesto rivoluzionario e si manifesta proprio attraverso nuove e diffuse tecniche di controllo individuale che trovano nella scrittura il proprio principale strumento di catalogazione (24).
Anche le istituzioni scolastiche vengono coinvolte in questo vasto processo di pedagogia di massa. Nelle scuole vengono infatti distribuiti opuscoli e breviari che fungono da veri e propri manuali della condotta rivoluzionaria, degli atti eroici e delle gesta encomiabili (25). La diffusione del messaggio rivoluzionario coinvolge ampi settori della popolazione ma si rivolge in maniera molto più mirata e diretta all’infanzia; i manuali della rivoluzione vengono sottoposti ai fanciulli nelle scuole alla stregua di un modello pedagogico già presente nell’ancien régime. Si tratta di un modello originario di «colonizzazione pedagogica dei giovani» (26) che inizia a svilupparsi a partire dall’epoca medievale e che si consolida con l’intensificarsi della società disciplinare a partire dal XVII secolo: «i Lumi che hanno scoperto le libertà, hanno anche inventato le discipline»(27).

3. Convertirsi alla rivoluzione


La parola revolutio non appare di frequente nel latino classico (28); piuttosto, per indicare i movimenti degli astri e dei corpi celesti, le trasformazioni politiche o i cambiamenti fisiologici, viene usualmente impiegato il termine conversio (29). Ma convertere ad se è anche il ritorno concettuale a se stessi, il volgersi verso se stessi inteso come movimento intro-proiettivo finalizzato alla salvezza del sé. Si tratta dell’esito delle pratiche ascetiche inaugurate dai cinici e giunte, tramite lo stoicismo, presso il mondo e la filosofia di Roma antica. La nozione di conversione si sviluppa quindi in ambito filosofico e solo in epoca medievale essa arriverà ad avere una profonda rilevanza all’interno del cristianesimo, assumendo la sua configurazione definitiva (30). Ma la nozione di conversione giocherà un ruolo fondamentale anche nelle pratiche politiche: «a partire dal XIX secolo la nozione di conversione si è introdotta, in maniera spettacolare, e potremmo dire perfino drammatica, tanto nel pensiero politico, quanto nella pratica, nell’esperienza e nella vita politiche» (31).
L’evento della Rivoluzione francese contribuisce in maniera decisiva a risolvere l’equazione fra i concetti di revolutio e conversio, la tautologica «conversione alla rivoluzione» si sdoppia di significato: da una parte l’atto del «convertere ad se», di una pratica inerente al rivolgersi verso se stesso da parte del soggetto; dall’altra la pratica rivoluzionaria che si afferma come categoria del soggetto, come schema fondante e costitutivo dell’esperienza individuale e soggettiva stessa. La dinamica inter-attiva della rivoluzione si riflette sulle relazioni sociali, le sottopone a rinnovati modelli di socializzazione che si affermeranno come produttivi di nuove forme di soggettività. La verità che ne deriva è l’esito di un processo, è frutto di un sapere relazionale che impone al soggetto di aderirvi (32). Ogni forma è plasmata all’interno di un percorso di apprendimento di condotte, modelli e comportamenti che progressivamente vanno a rovesciarsi nella struttura istituzionale del partito organizzato (33): la nozione di conversione gradualmente si sfuma, per venire del tutto annullata dall’esistenza di un partito rivoluzionario, il nuovo perimetro all’interno del quale sarà elaborata l’azione politica (34).

4. Ascesi e verità nella pratica rivoluzionaria

L’azione dei dispositivi disciplinari ha come obiettivo specifico i corpi; questi divengono materiale umano da plasmare e collocare sulla scena della rivoluzione. La mimica, il vocabolario, le gesta e i termini del discorso rivoluzionario sono compresi all’interno di una dinamica che genera e produce nuovi soggetti. L’aggettivo rivoluzionario che si accompagna al soggetto assume funzione sostantiva e ruolo costitutivo nella definizione di coloro che si impegnano nella rivoluzione, che si riconoscono in essa tramite la sua causa (35). La vita pubblica subisce un processo di teatralizzazione dove tutto deve essere osservabile, ben visibile e testimoniato per mezzo della propria condotta (36). In pubblico si compiono gli «esercizi spirituali» volti a manifestare la propria ardita fede nella rivoluzione e a rinsaldare il dovere etico di ognuno verso la collettività (37). E proprio gli esercizi spirituali costituiscono il nucleo centrale del lavoro ascetico che l’individuo compie su di sé per salvarsi (38). L’ascesi, sia essa nell’accezione filosofica che in quella religiosa e cristiana, è «intesa come testimonianza della verità», testimonianza che si rivela proprio attraverso il corpo nel cinico, nel religioso come nel rivoluzionario: il corpo rappresenta in tal modo «il teatro visibile della verità»(39). Nella sua esibizione pubblica il soggetto aderisce a una verità e la proclama al contempo; si tratta di una verità che scaturisce dalle dinamiche di potere del discorso pubblico e si consolida attraverso un susseguirsi di regimi che producono di volta in volta nuove forme di soggetto (40).
È attraverso tali passaggi che il cinismo antico, inteso come «forma di vita nello scandalo della verità», giunge a influenzare profondamente le pratiche politiche e i movimenti rivoluzionari (41). La rivoluzione, quindi, oltre ad aver rappresentato un capovolgimento di ordine inserito all’interno di una più generale visione della storia e della società, assume i connotati di una vera e propria forma di vita, funzionando «come un principio che ha prodotto un certo modo di vita» (42). Prima ancora di strutturarsi in un’organizzazione, il militantismo rivoluzionario è uno stile di esistenza, l’esercizio specifico di una pratica che insiste nel porsi in diretto contatto con la verità. È questo rapporto intrinseco con una verità che attribuisce a quest’ultima una potenzialità performativa sul soggetto.
La testimonianza della verità diventa un tutt’uno con la manifestazione della propria vita, con la messa in atto della condotta rivoluzionaria assorta a pratica di vita fino al passaggio limite di «morte per la verità» (43); il punto estremo che trasforma il movimento rivoluzionario, non ancora istituzionalizzato, in atto terroristico. La verità rappresenta il culmine della condotta rivoluzionaria, il «passaggio al limite» oltre il quale le pratiche di vita possono sfociare «fino alla morte per la verità» (44). Foucault ne parla facendo cenno al fenomeno letterario che da Dostoevskij trova il riflesso empirico in tutta la corrente del nichilismo russo ed europeo; populismo, anarchismo e pratiche di terrorismo costituiscono l’atto finale del manifestare la verità. Una verità del tutto svincolata da ogni originaria trascendenza, piuttosto prodotto immanente dei processi storici e dei rapporti di forza. Una religione dell’umanità segue all’era metafisica e all’era teologica.
Due rivoluzioni trovano su questo tema il punto di convergenza. La Rivoluzione francese colloca al centro l’individuo borghese, finalmente libero di poter autodeterminare il mutamento sociale; dall’altra, la Rivoluzione sovietica innesta nel seno della società russa un profondo mutamento antropologico e culturale in grado di deviare la parabola della storia a favore del nuovo Cristo liberatore: il proletariato (45). Si afferma una forma inedita di messianismo. Il socialismo si presenta come la nuova fede, aspira ad avere pretese religiose (46).
Il socialismo riceve in eredità l’ateismo della società borghese e capitalista del XIX secolo (47), ma riadatta sulla scena storica e politica i valori e le aspirazioni di una religiosità secolarizzata. Anche nella Russia zarista di fine Ottocento le credenze religiose subiscono un cambiamento; quello che nella società francese ed europea si era presentato come “Illuminismo” in Russia prendeva la forma del nichilismo (48). Il punto di rottura è radicale, profondo; Nikolaj Berdjaev scrive che le previsioni di Dostoevskij individuano il carattere problematico del socialismo in Russia come aspetto collegato a una questione religiosa. La Rivoluzione russa corrisponde al tentativo di conseguire la salvezza dell’umanità senza Dio (49).

5. L’ultima rivoluzione

Esiste un legame intrinseco tra Illuminismo e nichilismo russo. Se si osserva questo passaggio dalla prospettiva teorica della filosofia della storia, il legame appare probabilmente ancora più chiaro. Il filosofo russo Nikolaj Berdjaev, in particolare, si propone come interprete di questi fenomeni. La connessione non è diretta o immediata; piuttosto si attua per mezzo del susseguirsi di fatti storici e sommovimenti della cultura e dello spirito che confluiscono nel nichilismo europeo di fine Ottocento e aprono la strada all’emergere rivoluzionario del nichilismo russo. È in esso che il fenomeno del populismo (narodničestvo) affonda le proprie radici (50). Il mutamento antropologico del popolo russo assume i tratti borghesi dell’autoaffermazione ma con venature decisamente più estreme; l’antico dispotismo della forma politica zarista permane e si accentua con l’avvento della Rivoluzione russa, trasformando quella sovietica in una forma del tutto nuova di dominio denominata totalitarismo (51).
La prima guerra mondiale da una parte mostra alla storia l’evidente debolezza e fragilità della democrazia in Europa, dall’altra indica alla Russia, a sua volta drammaticamente provata dalla guerra, che la crisi della democrazia rappresenta un modello fallimentare e impraticabile (52). Così il deflagrare della crisi umanitaria, spirituale e culturale genera l’impulso rivoluzionario in Russia e reazionario nel resto degli Stati europei; insieme alla Russia, tutta l’Europa «è in preda a un terribile avvilimento» scrive Berdjaev. Anche il fenomeno del fascismo italiano rientra secondo Berdjaev in quell’insieme di sconvolgimenti sociali e politici animati dalla stessa dinamica (53): alla religione di Dio si sostituisce l’idolatria dello Stato. Due nichilismi, quello dell’individuo da una parte e quello dello Stato dall’altra, agiscono su due fronti diversi ma si presentano come fenomeni contemporanei.
Albert Camus nel suo L’uomo in rivolta parla di rivoluzioni nichiliste: la Rivoluzione francese inaugura la centralità dell’individuo borghese e instaura la religione della virtù; le rivoluzioni del Novecento, delle quali la Rivoluzione russa è l’evento originario, compiono il definitivo «deicidio» e danno inizio al regno della storia. «Alla rivoluzione giacobina che cercava d’instaurare la religione della virtù per fondare su di essa l’unità, succedono le rivoluzioni ciniche, siano esse di destra o di sinistra, che tenteranno di conquistare l’unità del mondo per fondare finalmente la religione dell’uomo» (54); per Camus anche il messianismo scientifico di Marx è di origine borghese e i progressi della scienza e della tecnica dell’Ottocento sono riconducibili a un concetto di progresso del tutto originato dall’epoca illuminista e dalla rivoluzione borghese (55).
La tendenza peculiare del popolo russo verso il Regno di Dio capovolge, però, il rapporto tra religione e politica nella realizzazione del socialismo. Una teocrazia secolarizzata stabilisce di perseguire una fede del tutto terrena. Il partito bolscevico assume un ruolo decisivo nella costruzione della nuova società. Con la Rivoluzione Russa il soggetto rivoluzionario si trasforma in rivoluzionario di professione: «questo corpo di agitatori deve venire organizzato prima della massa stessa. Una rete di agenti, tale è l’espressione di Lenin, che annuncia così il regno della società segreta e dei monaci realisti della rivoluzione»(56). La rivoluzione produce l’uomo nuovo; è un concetto che emerge dalla Rivoluzione francese e si afferma con la Rivoluzione russa. Il soggetto rivoluzionario viene battezzato nella nuova fede. I termini della conversione e della «fabbricazione» di masse informi sono così riassunti da Camus:

«I fedeli sono regolarmente convitati a strane feste in cui, secondo riti scrupolosi, vittime piene di contrizione vengono date in olocausto al dio storico.
L’utilità diretta di questo concetto sta nell’interdire l’indifferenza in materia di fede. È l’evangelizzazione forzata. La legge, che ha funzione di punire i sospetti, li fabbrica. Fabbricandoli, li converte» (57).

La fede nel partito bolscevico pone in evidenza il ruolo e l’importanza di colui che lo conduce, perché «la rivoluzione ha bisogno di capi, e capi che siano dei teorici» (58). Il leninismo è la sacralizzazione che rende possibile l’affermarsi di un tipo antropologico nuovo nella Rivoluzione russa (59). Sulla scia di questi processi il partito bolscevico intraprende un’evoluzione che lo conduce a trasformarsi in una parte dello Stato, fino a giungere all’identificazione totale con lo Stato (60). Sono emblematiche a tal proposito le considerazioni di un testimone diretto della Rivoluzione russa, Victor Serge: «la rivoluzione sembra volgersi contro l’uomo e in particolare contro l’operaio, assumendo l’aspetto implacabile di uno Stato totalitario» (61). Un nuovo Leviatano si staglia all’orizzonte della storia.

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NOTE A PIÈ DI PAGINA

1 R. Bodei, 2010, 371.
2 Ibidem.
3 Sul concetto di speranza interpretato alla luce della tensione rivoluzionaria cfr. in particolare V. Mathieu, 1972.
4 I. J. Singer (1937), 2011, 410. Il romanzo narra le vicende di una famiglia e di due fratelli all’interno dell’epopea ebraica polacca; ambientato a Lodz nel periodo che ripercorre la storia dalla fine dell’Ottocento fino alla grande crisi del 1929.
5 Nel presente scritto si assume come modello iniziale quello della Rivoluzione francese, partendo dalla considerazione che «la révolution française a donné naissance à la croyance révolutionnaire», poiché si tratta dell’evento che annuncia la nascita di una vera e propria «croyance moderne». Su questo tema cfr. in particolare J. C. Milner, 2016, 11-67. Da queste pagine emerge, però, uno spaccato interessante sulla rivoluzione che la rende simile a un Giano bifronte: uno sguardo è rivolto al passato, alle antiche e gloriose repubbliche greco-romane; l’altra parte del volto è invece proiettata verso il futuro inaugurato dall’individuo borghese, e si compie nella parabola finale del materialismo scientifico marxista, di cui il modello sovietico di Lenin e Stalin rappresenta l’emblematico tentativo di realizzazione. Su questo argomento cfr. V. Strada, 2017.
6 L. Jaume, 2015, 7. Sul tema della «rigenerazione» e del rapporto ambivalente fra il tempo storico della rivoluzione e il suo carattere ciclico da una parte e lineare dall’altra, cfr. il commento alla ricerca di Jaume di F. M. De Sanctis, 2015, 547-555.
7 L. Jaume, 2015, 15. La chiusura del ciclo rivoluzionario, secondo Sandro Chignola, coincide con l’avvento della Restaurazione, la quale segna il punto di un nuovo inizio del processo di «civilisation»: così, «il Figlio dell’Uomo è venuto per il riscatto dell’uomo. La Rivoluzione, per abbattere le resistenze di un mondo senza fraternità». S. Chignola, 2011, 45. Sul ruolo e l’importanza dei modelli delle antiche città nello sviluppo del pensiero filosofico e politico in Europa cfr. fra tutti G. Cambiano, 2000. Sul riferimento ideale alla figura del citoyen «come utopia dell’uomo della polis», cfr. E. Bloch, 1994, 1083-1084.
8 L. Jaume, 2015, 10. Su questo punto cfr. anche D. Julia, 1990.
9 H. Burstin, 2016, 12.
10 «Il senso della rivelazione cristiana, autentico compendio di una creazione palingenetica e continua del mondo che si compie certo in termini progressivi e tuttavia non semplicemente successivi e lineari. Il progresso è sempre ottenuto al prezzo di una prova». S. Chignola, 2011, 44.
11 H. Burstin, 2016, 10.
12 «Gli individui che si battono nell’89, più che cerare un uomo nuovo, sono essi stessi a tutti gli effetti homines novi, dato che iniziano il proprio itinerario politico in un campo che era loro precedentemente precluso […] l’emergere del citoyen corrisponde a tutti gli effetti all’apparizione di un uomo politicamente nuovo». H. Burstin, 2016, 20.
13 Ivi, 23.
14 Ivi, 5-10.
15 L. Rustighi, 2105, 282. Una delle caratteristiche della rivoluzione, messa in evidenza da Sergio Cotta, è proprio di qualificarsi come vera e propria «fonte del diritto, alla stessa stregua della consuetudine, come fatto normativo, cioè come fatto umano che produce il diritto per sua stessa virtù». S. Cotta, 2002, 393.
16 Michel Foucault, in un passaggio del corso «Il potere psichiatrico», pone in evidenza un episodio simbolo di un certo processo di decadimento del potere sovrano. L’episodio è ripreso dal Traité médico-philosophique di Pinel, del 1800: riguarda la malattia mentale che coglie Giorgio III re d’Inghilterra e rappresenta il caso emblematico della dissoluzione dell’intero apparato della regalità. Nel vuoto di sovranità conseguente non si instaura un altro potere sovrano, bensì un potere del tutto diverso, ovvero il potere del medico; si tratta, come scrive Foucault, di «un potere anonimo, multiforme, grigio, incolore; un potere che è, in fondo, quello che definirei il potere della disciplina». M. Foucault, 2010, 31. L’analitica del potere di Foucault pone in essere la necessità di «decentrare l’analisi», abbandonando il potere del sovrano come baricentro teorico, e «spostarla sui processi di circolazione del potere, verificare le traiettorie che quest’ultimo disegna all’interno del corpo sociale, nei rapporti che passano tra i soggetti, nelle relazioni che intercorrono tra di loro». S. Chignola, 2014, 25.
17 L. Bazzicalupo, 2013, 191.
18 Nell’atto della decapitazione del sovrano Marramao intravede la mitologica spartizione del corpo del padre da parte dei fratelli. Il riferimento a tale immagine intende illustrare il momento genetico e simbolico della formulazione del potere diffuso. Cfr. G. Marramao, 2013, 332.
19 «L’individuo è un effetto del potere e al tempo stesso, o proprio nella misura in cui ne è un effetto, è l’elemento di raccordo del potere. Il potere passa attraverso l’individuo che ha costituito». M. Foucault, 2010, 33. Foucault parla dei differenti «modelli» di individuo come ciò «che nel XIX e XX secolo verrà chiamato Uomo». Cfr. M. Foucault, 2010, 67. I temi affrontati da Foucault nel corso Il potere psichiatrico rappresentano i punti focali della sua ricerca, all’interno della quale si intrecciano sin da subito gli assi portanti delle sue linee analitiche: asse del potere, asse del sapere e asse del soggetto si presentano qui in una complessiva visione d’insieme.
20 I punti di svolta o i momenti di maggior tensione si collocano prevalentemente nelle fasi insurrezionali. Come scrive Burstin, a proposito della messa in atto di un rigido schema di codici comportamentali all’interno dello scenario della Rivoluzione, «si forma, così, attraverso questi itinerari, un curriculum di meriti che modella il paradigma della condotta rivoluzionaria». H. Burstin, 2016, 108.
21 R. Bodei, 2010, 396.
22 S. Chignola, 2014, 28.
23 «La stessa tecnica dell’inchiesta giudiziaria che sarà adottata nei confronti dei sospetti, sottopone gli inquisiti a un test di repubblicanesimo o, a seconda dei casi, di «sanculottismo» in base a una griglia destinata a valutare la condotta dei cittadini». Sul punto cfr. ancora H. Burstin, 2016,110.
24 «A partire dai secoli XVII e XVIII, sia nell’esercito sia nelle scuole, nei centri di addestramento, ma anche nel sistema di polizia o in quello giudiziario, eccetera, vediamo mergere il processo in forza del quale i corpi, i comportamenti, i discorsi delle persone vengono a poco a poco investiti da una trama di scritture, da una sorta di plasma grafico che li registra, li codifica, li trasmette lungo la scala gerarchica e finisce col subordinarli a un ordine centralizzato». M. Foucault, 2010, 57.
25 Burstin fa riferimento a un’antologia ad opera di Léonard Bourdon che riassumeva atti eroici e condotte civicamente esemplari, approvata e introdotta dalla Convenzione nel settembre 1793. Cfr. H. Burstin, 2016, 124-128.
26 M. Foucault, 2010, 72. Su quello che potrebbe essere definito come il processo di apprendimento della cittadinanza cfr. ancora R. Bodei, 2010, 404-405.
27 M. Foucault, 1993, 242.
28 La parola revolutio, d’altro canto, compare per la prima volta nella Città di Dio di Sant’Agostino e sta a indicare la metempsicosi, ovvero il passaggio dell’anima da un corpo all’altro. Con Copernico il termine sarà utilizzato per la prima volta per descrivere il movimento dei corpi celesti e il loro ritorno al punto di partenza. Hannah Arendt mette in evidenza un paradosso semantico: la rivoluzione politica viene assimilata alla rivoluzione astronomica, la quale ha come esito finale il ritorno al punto di partenza. Si tratterebbe, in realtà, di una restaurazione. Infatti, è soltanto con l’avvento della modernità che la rivoluzione assume la valenza di progresso, seppure continua a mantenere implicitamente un significato ambiguo. Cfr. J. C. Milner, 2016, 71.
29 Ivi, 72.
30 «Sarebbe tuttavia completamente errato valutare e misurare l’importanza della nozione di conversione solo nel contesto della religione, e di quella cristiana in particolare. Dopotutto, infatti, quella di conversione è anche un’importante nozione filosofica». M. Foucault, 2003, 184.
31 Ibidem. Foucault, nel passaggio immediatamente successivo, introduce il tema della «conversione alla rivoluzione».
32 S. Chignola, 2014, 177. Per un’analisi fra il rapporto tra verità e giustificazione da un punto di vista normativo cfr. A. Besussi, 2012, 45-62.
33 M. Foucault, 2011, 182.
34 M. Foucault, 2003, 185.
35 «Cet engagement consistant à faire durer la révolution et non à la fixer, il devient pour certains sujets un genre de vie». J. C. Milner, 2016, 125.
36 Cfr. H. Burstin, 2016, 131-133.
37 Per Remo Bodei lo Stoicismo rappresenta l’antecedente filosofico dell’etica rivoluzionaria: «esso appartiene pertanto all’età di crisi, durante le quali indica ad alcuni il percorso per ritrovare la via del bene e ricondurre alla natura l’uomo “illuminato dalla sua stessa corruzione”». Cfr. R. Bodei, 2010, 393-394.
38 La pratica ascetica appartiene prevalentemente al mondo cristiano e al monachesimo medievale; le prime forme di ascetismo si svilupparono, però, nell’ambito della filosofia greca e rappresentano una modalità del ritorno a sé, un volgersi a sé stessi come possibilità di cura e di salvezza. Il discentramento dalla polis e il venir meno della sua centralità, all’interno del panorama ellenistico, pongono in essere un contestuale distacco dalle cose terrene e dai beni materiali, inaugurando un’epoca di nomadismo filosofico. Emergono alcune figure di filosofi, come quella emblematica di Diogene di Sinope detto il cinico, i quali si fanno interpreti di una nuova condotta di vita. La corrente filosofica del cinismo influenzerà in maniera diretta la nascita e lo sviluppo dello Stoicismo. Per una ricostruzione storico-filosofica di questi passaggi cfr. fra tutti L. Scuccimarra, 2006, 39-56.
39 M. Foucault, 2011, 178-179. Nelle stesse pagine Foucault scrive che il modo di vita cinico antico è stato tramandato proprio grazie all’ascesi cristiana e al monachesimo medievale.
40 In questo passaggio sembrano saldarsi fra di loro le tre grandi linee analitiche di Foucault: il regime di verità, in quanto costituito da saperi, è sempre sottoposto alla contingenza del potere. E si tratta di un potere produttivo di soggetti, di forme nuove di soggettività mai uguali a se stesse. Cfr. S. Chignola, 2014, 93; per un’analisi sui dispositivi di potere a partire da Foucault cfr. L. Bazzicalupo, 2013.
41 M. Foucault, 2011, 180.
42 Idibem.
43 Ivi, 181. Secondo Laura Bazzicalupo, «quando alguien se expone a la muerte por la verdad, erradica cualquier consenso biopolítico gubernamental, a partir de aquel hobbesiano»; è il piano dell’etica come politica, il piano che, seppur parziale e discontinuo rispetto alla governamentalità, si colloca all’interno di essa. Cfr. L. Bazzicalupo, 2015, 76.
44 M. Foucault, 2011, 180-181.
45 «È questa la missione del proletariato: […] esso è il Cristo umano che riscatta il peccato collettivo dell’alienazione». A. Camus, 2010, 225.
46 Così N. Berdjaev, 2017, 161.
47 Ivi, 169.
48 Ivi, 123.
49 Ivi, 133. Per una lettura storico-filosofica sullo sviluppo di un «credo» rivoluzionario cfr. fra tutti J. H. Billington, 1986.
50 Questa fase di accentuazione dei caratteri estremi del populismo russo si riflette a sua volta sulla stessa Europa, in un rapporto di reciproca influenza. Cfr. V. Strada, 2017, 30.
51 Sulla nascita del messianismo politico nel diciottesimo secolo e sul legame tra democrazia totalitaria e dittatura cfr. in particolare J. L. Talmon, 2000.
52 «La rivoluzione ha avuto origine in Russia, quando la democrazia liberale ha dato prova della propria impotenza e l’umanesimo moderno è giusto alla propria fine». N. Berdjaev, 2017, 181.
53 Ivi, 127.
54 A. Camus, 2010, 149.
55 Ivi, 213. Per quanto concerne l’analisi comparativa fra la Rivoluzione russa e la Rivoluzione francese, si rimanda al classico di F. Furet, 2002.
56 A. Camus, 2010, 249.
57 Ivi, 265.
58 Ivi, 249.
59 Cfr. N. Berdjaev , 2017,141.
60 Cfr. V. Strada, 2017, 37.
61 V. Serge, 2017, 183.

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