Uomini soli nell’epoca della post-verità

Uomini soli nell’epoca della post-verità.

A proposito di: G. Maddalena-G. Gili,

Chi ha paura della post-verità?, Genova, Marietti 2017.

Michele Rosboch*

Fra i temi maggiori del dibattito pubblico degli ultimi tempi spiccano certamente quello della disintermediazione e la problematica delle cosiddette fake news. Il recente e agile libro di Giovanni Maddalena e Guido Gili, Chi ha paura della post-verità? Effetti collaterali di una parabola culturale, Marietti, 2017, ha il merito di illuminare i nodi essenziali di tali problematiche.

A partire da un’accurata e sintetica descrizione del percorso storico-filosofico della modernità, si giunge a descrivere come nel secolo XX sia profondamente cambiato «lo statuto dei concetti di verità e di realtà»[1], giungendo a un approdo volto ad affievolire proprio il nesso fra realtà e verità in un ambito sociale in cui parallelamente si allentano nella società occidentale legami sociali e strutture politiche. Hanno contribuito a tale nuovo assetto molti fattori, alcuni strettamente filosofici, come l’egemonia dell’impostazione antimetafisica e costruttivistico-nominalista, altri legati alla secolarizzazione o all’affermazione del mito del sapere scientifico.

Anche nelle scienze della comunicazione e negli studi specifici sul giornalismo si possono rilevare evoluzioni significative proprio nell’ultimo secolo: anche qui si è messa radicalmente in discussione ogni concetto di «verità», a beneficio piuttosto di una sovraesposizione dell’idea di interpretazione, in grado di soppiantare ogni riferimento alla stessa realtà fattuale.

La ricostruzione di Gili e Maddalena non si ferma qui, ma prosegue osservando con molto acume come tale prospettiva abbia «generato nel tempo una serie di processi e di effetti perversi»[2]. Si tratta, infatti, di smascherare alcune distorsioni o illusioni dell’attuale società della «conoscenza», a partire dall’idea che questa potesse creare di per sé una società migliore e la consapevolezza secondo cui proprio l’indebolimento del concetto di verità e dei legami sociali tradizionali «finisce per diventare paradossalmente la miglior difesa dello status quo».

Proprio nel Novecento, infatti, sconfessando il cosiddetto «mito dell’obiettività» si sono invece registrati i più vasti fenomeni storici di manipolazione del consenso e dominio sulle masse, fino alla forma estrema del totalitarismo nazionalsocialista; giustamente David Riesman parlava di «uomo eterodiretto», in una situazione in cui gli stessi sistemi di riferimento fattuali e culturali – frame – risultano essere fortemente manipolati, parallelamente si fanno strada nel mondo della comunicazioni i cosiddetti «fattoidi», vere e proprie «allucinazioni mediali» consistenti nell’invenzione di notizie su eventi mai avvenuti, largamente utilizzati, ad esempio, in occasione di eventi bellici o rivoluzionari, quali il massacro inesistente di Timisoara nel 1989 o le atrocità irachene o libiche del 2003 e del 2011.

Di grande interesse nel libro è, infine, l’individuazione delle «sorprese» emerse negli ultimi anni; si possono infatti rilevare alcuni contraccolpi ed effetti imprevisti nelle vicende considerate indiscutibili nell’eclissi dell’idea di verità e dell’affievolimento di valori e legami umani.

Il primo fenomeno non previsto è la «comparsa sulla scena politico-mediatica di attori non invitati» in grado di scompigliare il consolidato mainstream politico internazionale: da Putin a Trump, dai leader europei sovranisti ai sostenitori della Brexit. Popoli e realtà politiche sempre più disintermediate si sono in tale contesto sorprendentemente riaggregate a partire da sistemi di valori tradizionali e dimensioni locali, sbaragliando il campo del politically correct.

Questo fenomeno si accompagna al venir meno della credibilità dei media e dei nuovi attori social: basti pensare al recente scandalo di Facebook e della vendita di dati sensibili alla società Cambridge Analytica; più in profondità si tratta della crisi del paradigma progressista del pensiero critico, quale agorà di dialogo e di opinioni come tale in grado di emancipare e migliorare la società.

In terzo luogo si deve riconoscere un ritorno alle pretese della verità; proprio per superare l’impasse del pensiero critico universale, si predica un ritorno alla fattualità e una riabilitazione della stessa idea di verità: il New York Times titolava a questo proposito nel 2017 «The truth is hard»! Si è passati, insomma, a rovesciare l’idea secondo cui «non ci sono fatti, ma solo interpretazioni» (Nietzsche) alla formula secondo cui «non ci sono interpretazioni, ma solo fatti (prevedibili e banali)»[3]; dove, ovviamente, anche il rovesciamento è deludente e incapace di soddisfare la complessità dell’agire umano nella società di oggi.

Come e dove riprendere? Meritoriamente, gli Autori non si sottraggono a quest’ultima provocazione, tentando di uscire dalla morsa fra scettiscismo e nuovo positivismo: la proposta finale del libro è quella, convincente, di un rinnovato «realismo ricco», basato su due osservazioni di fondo. La prima è la valorizzazione della stessa idea di comunicazione: «tutto l’essere è comunicazione», e il senso della realtà è in essa già presente, a disposizione della scoperta e dello sviluppo umano. In secondo luogo si tratta di superare la fuorviante dicotomia fra teoria e pratica (e mi permetto di aggiungere, fra pensiero e azione): la comprensione della realtà, infatti, dipende da gesti e azioni conoscitive «intere» e non frazionate.

Infine, tale realismo ricco implica l’attenzione alle visioni del mondo e agli ambiti concreti in cui sono inserite e da cui provengono: relazioni sociali, istituzioni, comunità, territori. Una ricerca della verità intessuta di legami forti, e da «relazioni comunitarie vitali»[4]. La solitudine della post-verità non è insomma un destino ineluttabile, ma ad essa si può effettivamente rispondere attraverso «un’educazione non scettica al pensiero critico»; la si può anche chiamare amicizia.

* Michele Rosboch, Professore associato di Storia del diritto italiano ed europeo IUS/19, Università degli Studi di Torino. Email: michele.rosboch@unito.it

[1] G. Maddalena, G. Gili, 2017, 10.

[2] Ivi, 47.

[3] Ivi, 93.

[4] Ivi, 97.

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