Sull’autonomia differenziata: note sulla sostenibilità finanziaria

di Alessandro Cioffi

Abstract:

it is an essay on Self Government, in the perspective of the Law of the italian Constituition. It concerns the power, given to the Regions, to make rules by itself on special matters, like, for example, Education, Health, Environment. This implies a different and greater power, compared to ordinary Self government. Moreover, it implies a different policy, sometimes in opposition to the central Government. The main point is how to make it possible on a financial perspective view.  The essay provides an analysis on the economic criteria of the «Standard cost». It gives some suggestions for improvement the criteria, in the perspective of constitutional general principles, in order to give strength and sustainability to the economic recovery.  

Esattamente prevedendo il futuro, e intuendo il fatto che alcune regioni avrebbero desiderato di più, la Costituzione prevede una «particolare» e «ulteriore» forma di autonomia (art. 116, terzo comma, Cost.). E’ l’autonomia differenziata e rappresenta una forma più spiccata di autonomia: non è autonomia speciale, ma è qualcosa di diverso dal sistema delle autonomie ordinarie. Finisce per toccare aspetti molto delicati dell’ordinamento. Questi aspetti troveranno un assetto nelle intese tra lo Stato e le Regioni e poi nella legge statale di approvazione. Su questo punto sta sorgendo un ampio e profondo dibattito, che tocca corde sensibilissime dell’ordinamento costituzionale. Ma sul piano amministrativo il tema evoca subito un enorme interrogativo: come faranno le regioni a sostenere le funzioni e i servizi pubblici insiti nelle materie che vogliono attribuirsi?

La risposta è strettamente legata alla natura dell’autonomia e alla sua collocazione all’interno dell’ordinamento giuridico generale.  

  1. Autonomia differenziata e ordinamento generale. Alcune distinzioni

L’art. 116 Cost. richiama l’art. 119 Cost. e così pone immediatamente il problema della sostenibilità finanziaria: l’autonomia differenziata si svolge secondo i principi e i limiti dell’autonomia finanziaria. Così l’autonomia differenziata assume a condizione l’autonomia finanziaria. Non a caso, nel linguaggio corrente, l’autonomia differenziata è sovente accostata al cd. «federalismo fiscale», ovvero alla versione legislativa che l’autonomia finanziaria assume in sede di attuazione; tant’è che nel dibattito politico-istituzionale «federalismo fiscale» e «autonomia differenziata» corrono insieme. Sono termini collegati, ma, in tempi di riforme, alcune distinzioni concettuali s’impongono. 

Prima di tutto un chiarimento sul concetto di federalismo fiscale. Si deve osservare che nell’art. 119 della Costituzione, e poi in sede di attuazione, nella legge 5 maggio 2009 n. 42, sotto il titolo di «federalismo fiscale» vanno disposizioni che delineano un sistema che ha i tratti tipici di una qualsiasi autonomia finanziaria. Questa autonomia significa due cose fondamentali: risorse proprie e capacità di finanziare integralmente le funzioni attribuite. In questo senso, in termini di teoria generale, federalismo fiscale significa autosufficienza, bastevolezza a se stessi. 

Questa forma di autonomia finanziaria deve vedersi, oggi, rispetto allo Stato e rispetto all’Unione europea, giacché in fondo mira a un solo scopo: garantire l’equilibrio di bilancio, di ciascuna Regione e dello Stato, e di tutti rispetto all’Unione europea. Pertanto, nell’ordinamento italiano e in quello europeo, autonomia differenziata significa autosufficienza finanziaria. Questa è una condizione preliminare. Ma nella sostanza l’autonomia differenziata è anche altro: è attribuzione alla Regione di tre materie dello Stato e di venti materie concorrenti. Significa attribuzione del potere legislativo su ventitré materie e, soprattutto, autonomia legislativa su materie che erano anche dello Stato. Si può dire che l’autonomia differenziata finisca per esercitarsi su materie in cui sono insiti interessi dello Stato che poi diventano interessi delle Regioni. Donde una certa «influenza reciproca». In questo senso, l’esercizio dell’autonomia differenziata può significare trasferimento del potere ma non perdita del potere, perché resta ferma quella relazione reciproca. Riaffiora qui l’idea di fondo insita nella categoria generale dell’autonomia pubblica, ovvero l’idea che gli interessi dello Stato insiti nella materia trasferita non siano danneggiati o perduti nel trasferimento, ma siano curati meglio dal soggetto autonomo, avvantaggiandosi della sua cooperazione. Donde appunto il venir fuori di due relazioni di fondo: influenza reciproca Stato-Regione e interdipendenza tra le Regioni. Il sottinteso è che quel che si trasferisce è un interesse condiviso e non irriducibile; e non a caso la maggior parte delle materie devolubili appartiene alla potestà concorrente. 

Il tutto è da considerare alla luce dell’art. 5 della Costituzione, alla luce dell’autonomia e delle «sue esigenze», come suggerisce in modo autorevole e persuasivo una recente dottrina del diritto costituzionale. Dunque, se questi sono i caratteri propri dell’autonomia dell’art. 116 Cost., sono da leggersi alla luce della prima parte della Costituzione, ovvero alla luce dell’ordinamento generale. In questa luce, all’interno dell’ordinamento generale, l’autonomia deve vedersi come oggetto di riconoscimento, ovvero del riconoscimento che la Costituzione fa all’iniziativa della regione, e, in termini di teoria istituzionale, alla luce di quel riconoscimento che l’ordinamento generale fa di un ordinamento particolare. In effetti, in termini di teoria generale, l’autonomia differenziata non è altro che il potere di darsi un ordinamento particolare sulle materie attribuite. Il che si deve sentire come qualcosa che in nessun caso è originario, giacché sullo sfondo riposa l’idea che l’autonomia differenziata, come ogni autonomia, è un potere derivato e non autoattribuito. E’ derivato dall’ordinamento generale, che ne fissa il contenuto e i limiti. Il che corrisponde e si fonda, oggi, sull’art. 114, secondo comma, della Costituzione: la disposizione definisce gli enti che sono autonomi e non menziona lo Stato, a significare che l’ordinamento dello Stato è l’ordinamento sottinteso ed è l’ordinamento generale, l’ordinamento derivante.  

  1. Autonomia differenziata e sostenibilità finanziaria

 Questo modo di vedere potrebbe riflettersi sulla formazione dell’autonomia differenziata, ovvero sul contenuto delle intese e sulla forza (e i limiti) della legge statale di approvazione. Ma questo punto o fattore può influenzare anche un altro aspetto delicato: la tenuta dell’autonomia differenziata, la sua sostenibilità finanziaria e amministrativa. Difatti l’art. 116, terzo comma, Cost. stabilisce che quell’autonomia si debba svolgere secondo l’art. 119 Cost., secondo i limiti e i principi dell’autonomia finanziaria, ovvero: equilibrio del bilancio, coesione sociale, solidarietà e, soprattutto, autosufficienza. Viene qui in primo piano l’efficienza amministrativa dell’autonomia differenziata. Donde l’interrogativo di fondo: come faranno le regioni a sostenere da sé le funzioni amministrative e i servizi pubblici insiti nelle materie che vogliono attribuirsi?

Entrando nel vivo del problema, l’attenzione si deve soffermare sul criterio. Si sa che l’autonomia finanziaria dell’art. 119 Cost. ha trovato attuazione nella legge 5 maggio 2009 n. 42 e nei decreti delegati successivi; in particolare, si è realizzata con i criteri del fabbisogno standard e del costo standard. Questi criteri indicano il fabbisogno e il costo e, quindi, determinano quanto è attribuito agli enti. In questo modo, misurano la sostenibilità delle funzioni amministrative fondamentali e degli obiettivi di servizio pubblico, insiti nelle materie devolute. E’ probabile che l’iniziativa del Governo e del Ministero degli Affari regionali si possa realizzare in una legge quadro, che potrebbe ricevere i criteri del fabbisogno standard e del costo standard. Su questo punto, si osservi che l’esperienza del costo standard e del fabbisogno standard ha registrato problemi e rimedi, che meritano di essere brevemente menzionati, specie in un contesto di riforme. Nel definire la disciplina del criterio e soprattutto nell’indicare la sua determinazione, è preferibile usare il canone messo in luce dalla Corte costituzionale: bisogna determinare esattamente «cosa misurare» e «come misurare».

In quest’opera di determinazione, alcune avvertenze sembrano utili. 

Primo: le fonti normative e il rango primario della disciplina. È necessario che la determinazione del fabbisogno e del costo non sia affidata a fonti sublegislative, bensì a fonti di rango primario. La Corte costituzionale ha chiarito che fabbisogno e costo standard implicano scelte politiche fondamentali e quindi hanno bisogno di essere determinati da una fonte che sia legislativa e non di natura subprimaria.

Secondo aspetto. Il problema si focalizza su di un punto fondamentale e riguarda le componenti dei fabbisogni: tra di esse figura, ex lege, il reddito di ciascun abitante della regione, con una conseguenza: il reddito più alto determina elargizioni più alte. Questa formula si presta a diseguaglianze notevoli, tra persone e tra regioni; potrebbe così finire per violare il principio di solidarietà e di coesione economico-sociale. Sarebbe auspicabile una correzione, con un sistema di misure perequative, a favore delle regioni più povere.

Da questi principi sorge anche la possibilità di vedere la prospettiva diversamente. Si sa che secondo il sistema vigente del federalismo fiscale, il criterio del fabbisogno e del costo standard serve a determinare gli obiettivi di servizio pubblico. Tanto è il fabbisogno tanto è l’obiettivo. Sembra invece che la formula si possa in qualche modo rovesciare. Prima si determinano gli obiettivi di servizio pubblico e poi si determina la loro sostenibilità. E’ la funzione che determina l’obiettivo. In una certa logica costituzionale, vista alla luce dei principi di eguaglianza e di coesione economico-sociale, la sostenibilità è una condizione dell’autonomia, non il suo fine; e l’autonomia, dal canto suo, è data al fine di soddisfare i bisogni della collettività. Certo, l’autonomia deve rimanere sostenibile, nei limiti del bilancio. Ma l’interesse finanziario deve rimanere un limite e non assurgere a causa. Si dovrebbe evitare che l’interesse finanziario passi da limite esterno a fattore causale dell’autonomia. A meno che non si voglia affermare che la sostenibilità finanziaria sia divenuta un interesse primario dell’ordinamento e che l’interesse finanziario sia non una clausola di salvaguardia bensì un vincolo positivo, idoneo a rideterminare i diritti sociali in diritti finanziariamente condizionati. 

Questa prospettiva, si sa, ha in sé un paradosso, che si potrebbe spingere sino ad una provocazione finale. Leggendo le preintese tra lo Stato e le Regioni, colpisce il fatto che le funzioni amministrative e le materie attribuite alle Regioni ricadano sul bilancio dello Stato e siano alimentate da tributi erariali. E colpisce il fatto che la facoltà delle Regioni di istituire «tributi propri» (art. 119 Cost.) sia dimenticata. Perché non usare i tributi propri di ogni regione per sostenere l’autonomia differenziata? Non è forse vero che l’autonomia differenziata dev’essere sostenibile e autosufficiente, come esattamente impone l’art. 119 Cost.? 

E non è forse vero, infine, che l’autonomia si sviluppa «secondo le sue esigenze», come ci ricorda l’art. 5 della Costituzione, letto in un certo modo? 

Ne viene uno spunto utile, un abbozzo di conclusione per future discussioni: l’autonomia differenziata deve essere retta dall’autonomia finanziaria e dalle esigenze generali (art. 5 Cost.). Ne viene fuori una versione diversa: la regione più differenziata che rivendica la sua autonomia non è la più ricca, ma è la più virtuosa. E così l’autonomia differenziata è una ulteriore autonomia, quella che è più virtuosa nell’aumentare i servizi e nel sostenerli da sé. Potrebbe essere questo il significato di quella «ulteriore» forma che l’autonomia può assumere, e che vale la pena assumere, secondo il testo dell’art. 116 terzo comma della Costituzione. 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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