Ri-valutare la politica

L’attuale scenario culturale e sociale si caratterizza per una diffusa sfiducia nella politica, a diversi livelli della riflessione scientifica e nella stessa opinione pubblica. Al di là delle valutazioni intorno alle più o meno apprezzabili performances della classe politica italiana e non solo (ma quali categorie supererebbero oggi a pieni voti un eventuale esame in una spietata e diffusa valutazione delle capacità e dell’integrità ‘morale’ dei propri adepti?) occorre domandarsi se valga la pena – con un fattivo contributo interdisciplinare e di pensiero – proporre un ri-pensamento ed una ri-valutazione della politica, senza timore di apparire “antiquati” o politically uncorrect.

Accanto alla dimensione giuridica (a ragione colta dalle fonti nel suo momento originario come realtà “hominum causa”), quella politica rappresenta sempre nella storia un momento essenziale dell’umana espressività, delle sue esigenze personali e sociali, fino alle forme di organizzazione e limitazione dei poteri.

Anche se nella storia (inclusa quella recente) la politica si è tradotta in forme spesso risibili e contraddittorie resta pur sempre il contrassegno di una capacità di sviluppo dell’umana convivenza a partire dalle potenzialità della libertà umana.

Dal fondamento singolarissimo della libertas individuale (irriducibile e ‘insindacabile’) alla complessità delle libertà positive e del ricco patrimonio sociale istituzionale caratteristico della storia e dell’ethos occidentale si muovono oggi i nodi essenziali di ogni valutazione circa la politica e la sua odierna “pensabilità”.

Della politica non si può fare a meno; peraltro, le attuali forme di traduzione della rappresentanza politica (sempre stretta fra tecniche, interessi ed ideali) stentano a far emergere immagini credibili e capaci di rispondere alla complessità degli attuali contesti economici e istituzionali. Perciò l’illusione dell’irrilevanza della politica (e della stesse forme di suffragio e di sovranità popolare) apre la strada – de facto – a forme più o meno estemporanee di “democrazia diretta” o, di converso, al privilegio accordato al neutralismo degli “esperti”.

Inoltre, l’attuale riflessione politica si colloca in un contesto istituzionale in cui sembrano venuti meno tradizionali capisaldi istituzionali e storico-giuridici; la sempre più evidente “crisi dello Stato” (già annunciata oltre un secolo fa da un giurista del calibro di Santi Romano) ha travolto nel secolo appena trascorso anche un assetto delle fonti del diritto positivisticamente determinato, oggi sempre più aperto ad un quadro flessibile proprio di una società globalizzata.

Occorre mettere in campo diversi contributi e sensibilità plurali per ri-costituire una sorta di “orchestra” della polis contemporanea. In questo senso si apre il grande tema dei fondamenti di una possibile e pacifica convivenza tra gli uomini nelle diverse società, su cui grava – spesso – una certa confusione: sembra serpeggiare il dubbio o la convinzione di non appartenere a nulla, di avere smarrito il senso della polis (o della civitas), con una diffusa impotenza rispetto ad un potere sempre più impersonale e omologante.

Già Tocqueville aveva a suo tempo ben individuato le necessarie “virtù politiche” necessarie al sostegno della moderna democrazia, da individuarsi nella forza della libera uguaglianza e nella cura dei legami sociali alimentati dalle tradizioni e dalle comuni assunzioni di responsabilità a partire dalla dimensione locale, passando per l’edificazione dei “corpi intermedi” fino ai livelli più alti dei governi. L’inganno della mera “proceduralità” delle convivenze si svela, infatti, nel nostro tempo di fronte alle attuali difficoltà di integrazione planetarie, alle situazioni di conflitto ed ai necessari sacrifici collettivi richiesti per la sussistenza delle stesse istituzioni civili e democratiche.

In tale contesto si colloca il nodo essenziale della giustizia; nella situazione odierna l’aspirazione e la realizzazione della giustizia nei diversi ambiti della vita associata (diritto ed economia su tutti) si muovono infatti fra una dimensione “legale” e il necessario alimento delle tradizioni (“memoria”) da cui la mentalità e gli ordinamenti giuridici e politici traggono la loro origine e la loro linfa.

A partire dal nucleo pluralistico di ogni società complessa il tema della convivenza, trattato al suo livello originale, si riconduce proprio alla libertà dell’uomo, al suo senso della storia e della società, al suo cuore e alla traduzione di tutto questo nel bene comune attraverso le diverse e complementari lenti della creatività, della politica e delle relazioni fra le culture e le istituzioni.

Per concludere, restano ancora valide e condivisibili le osservazioni a suo tempo proposte da Nicola Matteucci nell’intento di promuovere “Una nuova filosofia pubblica”: “La realtà contemporanea resta difficile da decifrare: di fatto c’è l’eclissi dello Stato, come luogo della sintesi politica, e il tutto è occupato dalle amministrazioni. Declinano le ‘istituzioni’ e si rafforzano le ‘organizzazioni’, mentre ci investe la rivoluzione tecno-tronica, che, con la sua apparente neutralità, regolerà sempre più i rapporti fra gli uomini, con i suoi linguaggi specialistici, ‘barbari’, perché incomprensibili, ma in realtà senza alcuna profondità semantica, perché lontani dalla vita vissuta. Così è scomparsa dall’attenzione la res publica e le sue forme, come il vero centro della politica, e la mente è sviata dalle organizzazioni e dalla tecnica, che sono realtà – in sé – non politiche” (N. Matteucci, Alla ricerca dell’ordine politico. Da Machiavelli a Tocqueville, Il Mulino, Bologna 1984, p. 26).

Scarica questo contenuto in pdf.

Michele Rosboch

crisi dello stato, Michele Rosboch, Ri-costruire la politica, Tocqueville

I nostri recapiti

Redazione

Via delle Rosine, 15 - 10123 Torino

Sede di studio

Via delle Rosine, 11 - 10123 TORINO

 

ISSN

ISSN 2421-4302

powered by