Editoriale – Gabriella Cotta

A dieci anni dalla scomparsa di Sergio Cotta, la rivista Politica.eu gli dedica un fascicolo intitolato: Diritti dell’uomo, politica, religione, delineando subito alcuni importanti spazi tematici su cui il suo pensiero si era esercitato, pur non esaurendone le prospettive teoretiche.

D’altra parte, i diversi contributi rivelano la scelta editoriale di ricordare Cotta individuando nel suo pensiero alcune piste significative in grado di attivare autonome linee di ricerca negli autori convenuti. Nessuno studioso, del resto, si può aspettare di essere ricordato in modo migliore di colui il cui pensiero si dimostra, nel tempo, in grado di offrire argomenti capaci di interrogare e stimolare le generazioni seguenti.  Ringrazio perciò i Direttori scientifici della rivista, Lorenzo Scillitani e Michele Rosboch di aver voluto ricordare mio Padre in questo modo.

Il saggio di apertura di Salvatore Amato, nell’elaborare la propria nota dedicata alla questione della tutela dell’innocente, prende in esame alcune sentenze della Corte Costituzionale riguardanti questioni bioetiche che, pur non molto frequentate da Cotta, vengono affrontate – anche – alla luce di quel tema, centrale nel suo pensiero. Amato si confronta con le sentenze della Corte relative alla crescente complessità di problematiche riguardanti gli ambiti sempre più artificiali e diversificati della genitorialità, dello statuto dell’embrione, della definizione stessa della vita, evidenziando tensioni e contraddizioni emergenti tra risultati scientifici, definizioni giuridiche, produzione normativa. Spunto teoretico ulteriore che percorre l’analisi di Amato, è un altro degli elementi centrali della costruzione antropologica di Cotta: l’inscindibile connessione che questi tematizza tra individuo e persona, in opposizione alla corrente, netta distinzione tra le due dimensioni, presente anche nel personalismo cattolico. Distinzione che, come sottolinea Cotta, finisce per ridurre l’individuo alla pura condizione biologica, mentre riconosce alla persona la superiore nobiltà dell’esercizio della libertà e, dunque, della moralità. Senza entrare nella articolazione del ragionamento cottiano, basti dire che, pur essendo stato – per limiti cronologici – sconcertato spettatore solo dei prodromi della dissoluzione dello statuto dell’umano in una molteplicità potenzialmente infinita di figure non solo ipotizzate teoricamente, ma anche drammaticamente realizzate nella dimensione pratico contingente – si pensi p.e. alle trasformazioni della genitorialità – Cotta ebbe subito chiaro che proprio la distinzione individuo/persona avrebbe favorito tale dissoluzione. Ciò avrebbe, a suo parere, legittimato – in ragione della infondata scissione tra realtà biologica presentata come assiologicamente neutra perché genericamente «animale», e dimensione «antropologica», a questo punto dotata di totale, astratta autonomia decisionale perché appartenente ad un soggetto dis-incarnato – la totale manipolabilità del dato biologico.  La possibilità stessa di distinguere nel soggetto umano tra lo stadio dell’individuo, non ancora «persona», e lo stadio di colui cui è pienamente riconosciuto lo statuto di «persona», era, per Cotta, foriera di una serie pericolosa e potenzialmente infinita di artificiali differenziazioni e di alterazioni dell’umano. Le odierne vicende riguardanti l’ambito della generatività e della definizione di vita e di morte, che Amato analizza con acuta penetrazione, ne sono evidente dimostrazione.

Il contributo di Di Santo si rivolge invece alla questione della temporalità in relazione alla dimensione del diritto analizzando il pensiero di Cotta accanto ad altri maestri come Bagolini e Opocher. Il primo punto del pensiero di Cotta rilevato da Di Santo riguarda la necessità, ancora una volta, seppure in ottica molto differente, di preservare una prospettiva unitaria, questa volta nella coscienza della propria identità, rispetto agli esiti dissolutivi del disperdersi nel flusso di una temporalità senza alcuna «puntualizzazione». Questo fenomeno, cardine del pensiero post-moderno, secondo Cotta rischia di travolgere sia l’immagine dell’uomo, sia l’orizzonte di una giuridicità che sia espressione dell’umano nella sua universalità. Il tema che Cotta aveva proposto, di una lettura sequenzialmente unitiva delle dimensioni individuo/persona, viene qui riproposto a proposito del rapporto di stretta connessione tra struttura antropologica e struttura del diritto in un legame di continua e circolare relazione tra quest’ultimo e l’esistente. La convinzione di Cotta, infatti, è che sia la relazione esistenziale, sia quella tra diritto e tempo, acquistino il loro pieno senso solo nella continuità diacronica, caratterizzata come durata. Il tempo, nel pensiero di Cotta, in opposizione alle filosofie del divenire, frammentate dalla/nella diversità temporale e ontologica di differenze facenti capo solo a sé stesse, non è più soltanto ciò che, essendo diviso in infiniti attimi, distrugge relazioni e strutture giuridiche e normative, ma è anche, e soprattutto, ciò che permane: appunto durata, memoria, proiezione. Di Santo sottolinea che, secondo Cotta, in questa linea è l’«intenzionalità» dell’uomo ciò che dura e che «fa essere» il diritto. Ma se ciò vale per il diritto, è altrettanto vero che anche l’io giunge ad unità rispetto al «flusso del vissuto» grazie alla memoria e alla capacità di questa di attivare il dato coscienziale e la percezione di sé come identico nella durata.

Felice nel suo contributo utilizza la definizione di Cotta della politica come sistema integrativo-escludente rispetto all’universalità del diritto e alla sua caratteristica integrativo-includente, sottolineandone in quest’ottica i limiti strutturali. Nello spirito di un ridimensionamento della politica, ma in favore dell’economia piuttosto che del diritto, Felice analizza uno scritto di von Hayek che collega –come d’altronde anticipava a modo suo Montesquieu- il libero mercato alla pace. Quest’ultimo tema evoca uno dei punti più significativi –nei suoi manifesti legami con il pensiero di Agostino in proposito- della riflessione sulla politica di Cotta in cui questi evidenzia come la tendenza alla pace sia elemento imprescindibile e costitutivo per la comprensione della struttura ontologica coesistenziale e relazionale caratterizzante l’umano. Questo dato, per Cotta incontrovertibile, segna la profonda differenza del suo pensiero rispetto a quello di Bobbio, ma, soprattutto, rispetto alla dominante linea del pensiero politico moderno e post-moderno. Qui si manifesta tutta la propositività del suo pensiero rispetto al contrario, imperante paradigma della spontanea conflittualità di cui Cotta ha più volte dimostrato, invece, la vera e propria controfattualità ontologica.

Baldassare Pastore ricorda la fondazione ontofenomenologica del diritto di Cotta ed in particolare la sua riflessione circa il problema della giustificazione e della obbligatorietà delle norme che ricevono le proprie ragioni dalle dinamiche della coesistenzialità umana e dal senso che da esse si sprigiona. In questa direzione, ad esempio, il «con-esserci» teorizzato da Cotta è espressione del dato onto-antropologico di strutturale relazionalità esprimente parità ontologica tra gli esseri umani: su questo e sulla sua estensione universale e non sulla morale, Cotta basa la propria costruzione giuridica.

Livio Perra si concentra sul tema del viaggio rifacendosi alle Lettres persanes di Montesquieu e alla lettura che di esse ne diede Cotta, che sottolineò l’importanza del reale viaggiare per la formazione del signore de la Brède e per l’elaborazione della sua trama ricostruttiva dell’essenza della politica. Vari viaggi fece anche Cotta, nell’immediato dopoguerra, sulle orme dello stesso Montesquieu, per rintracciare, di lui, spirito e scritti.

Michele Rosboch traccia un quadro dei rapporti tra Cotta e Del Noce che, muovendo dalla medesima sponda metafisica, ebbero modo di discutere su molti temi di comune interesse, spesso concordi, a volte, in alcune conclusioni, poi distanziati. Due temi soprattutto sollecitarono il loro dibattito: l’esplodere del fenomeno tecnologico e il ruolo cruciale svolto dal pensiero di Rousseau. Rosboch, nel ricordare la volontà di Cotta di considerare la «situazione tecnologica come problema e non come dato» a partire dalla critica, condivisa con Del Noce, della asserita sovranità dell’uomo su sé stesso, sottolinea, del primo, la ribadita convinzione della necessità di un ritorno all’essere. Questo tema, del resto, doveva diventare sempre più centrale per Cotta che, abbandonando progressivamente l’elaborazione del versante storico-ricostruttivo del pensare, imboccava con sempre maggiore chiarezza la strada più innovativamente propositiva della riflessione intorno alla questione della coesistenzialità e della relazionalità ontologica di cui vedeva, nel diritto e nella sua strutturale appartenenza all’umano, l’universale paradigma.

Scillitani raccoglie l’insegnamento di Cotta applicandolo all’analisi di fondamentali argomentazioni di Lévi-Strauss individuate sia ne Le strutture elementari della parentela sia in altri scritti sulla famiglia. Di quest’ultima Scillitani sottolinea, con il pensatore francese, la normatività fondamentalmente e spontaneamente giuridica, capace offrire indicazioni circa ce qu’il faut, circa, cioè, un dover essere ontologicamente primario. Questo, informando «i sistemi di nominazioni e di atteggiamenti elementari», sarebbe perciò in grado di strutturare quelle reti di relazioni che costituiscono la trama della socialità umana, presentandosi come luogo primario di compresenza di dati naturali e culturali. Una primissima formulazione di giuridicità, dunque, emergente, secondo Scillitani, in chiave antropologica in quanto diritto familiare, il cui interno significato, tuttavia, per seguire il pensiero di Cotta, andrebbe ulteriormente validato enucleandone gli strutturali elementi di universale coesistenzialità tali da giustificare la loro interna normatività.

Da parte sua, Barbara Troncarelli tocca un argomento centrale nella riflessione di Cotta, esaminandone la critica al soggettivismo assoluto caratterizzante buona parte del pensiero moderno e contemporaneo. A questa deriva, Cotta, facendo perno «sulla propria teoria metafisica di una “ontofenomenologia” del diritto», ha opposto la propria visione di soggetto umano, disegnato senza perdere di vista né la dimensione di singolarità, né quella di universalità. Cotta è riuscito, infatti, secondo Troncarelli, a fornire una convincente riflessione sul soggetto grazie al richiamo alla «giuridicità intrinseca» dell’esistenza, in opposizione agli estremi, costituiti, per un verso, appunto, da un’assolutizzazione della soggettività in chiave di esaltazione del singolo e di radicale soggettivismo «antigiuridista», e per l’altro, da una enfatizzazione dell’oggettività nei termini di un universalismo giusnaturalistico astratto e disindividualizzato. Nel costruire la propria originale posizione, Cotta utilizza una prospettiva ontologicamente «realistica», che induce a rinvenire nell’oggettività del diritto il fondamento della soggettività umana. Elemento caratteristico del filosofare di Cotta, per Troncarelli, è «una sorta di “fedeltà” filosofica al mondo reale dell’uomo e alla sua vita di relazione», che lo pone in una posizione che evita di cadere sia in forme di astrazione speculativa, sia in forme di fattualismo o prassismo. Egli elabora così un orizzonte di reciproca implicazione tra individuo e fenomeno giuridico, dove il diritto dipende dalla struttura relazionale dell’uomo, ma la relazionalità umana, da parte sua, si articola e sussiste grazie alla propria intrinseca normatività. La riflessione di Cotta sul soggetto, che ha trovato la sua più completa elaborazione nel Soggetto umano-soggetto giuridico, viene poi precisata nell’ampia analisi di Troncarelli, dalle osservazioni sui doveri come imprescindibili «rovesci» della prospettiva giuridica e strutturalmente appartenenti nella forma dell’obbligatorietà alla natura umana. La doverosità stessa essendo, infatti, la possibilità stessa del «rendersi libero realizzandosi come soggetto nel dovere-di-essere».

Ringraziando tutti coloro che hanno voluto organizzare e partecipare a questo ricco fascicolo, vorrei concludere notando che – in un momento in cui il pensiero filosofico appare in affanno cercando una via terza tra gli estremi di un individualismo sempre più autoreferenzialmente autonormativo e un universalismo ricercato al di fuori di ogni metafisica che in ogni sua immanentistica proiezione politica sembra riproporre derive egemoniche – il pensiero giuridico ontologicamente relazionale di Sergio Cotta sembra un orizzonte ancora e, forse nuovamente, fecondo.

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