Su diritti umani e bioetica in un recente volume di Vittorio Possenti: appunti sociologici

di Paolo Iagulli

Taking its cue from an interesting volume by Vittorio Possenti which cautions against regarding as human rights what are often only undue claims, this article discusses the pages in which the Italian philosopher vigorously critiques the «right to a child» in relation to (heterologous) artificial insemination and seeks to argue that a «right to procreate artificially» can definitely be configured from the perspective of the sociology of human rights. However, if the slide towards a libertarian ethics and eugenics feared by Possenti is to be prevented, this right must be elaborated as relative, that is to say, strictly conditioned by the concurrent rights of the unborn child and the therapeutic function of artificial insemination.

Su diritti umani e bioetica in un recente volume di Vittorio Possenti: appunti sociologici

Anno 4. Numero 2.

Dicembre 2018

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Vittorio Possenti è un filosofo e uno studioso importante e non può essere questa la sede per ricostruirne la biografia intellettuale; ai fini della presente nota, può essere sufficiente riportare le sue parole contenute in un saggio pubblicato da questa rivista[1]: «ho insegnato filosofia morale e filosofia politica, inoltre ho scritto non poco di metafisica. Pur non essendo un giurista, da un certo momento in avanti del mio cammino di ricerca mi sono sentito attratto dal perenne e grandioso fenomeno del diritto, che attraversa tutte le epoche e tutte le civiltà»[2]. Tale saggio di Possenti si richiama strettamente a un suo precedente volume dedicato al «nichilismo giuridico»[3]; un tema, quest’ultimo, tra quelli legati alla sua riflessione sul diritto, che egli sente in modo particolare: parte del più generale nichilismo occidentale (o perlomeno europeo), il nichilismo giuridico gli appare, infatti, pericolosamente in grado di insidiare la natura stessa del diritto, scindendone i legami con la ragione e la giustizia e rendendolo sempre più autonomo, mero «diritto positivo» fondato esclusivamente su sé stesso. Espressione del clima culturale della postmodernità, il diritto si fa anch’esso «liquido», contingente e flessibile, privo di basi e di un’identità degna di questo nome[4]; «[n]ell’età di un “divenirismo” in cui tutto si trasforma, anche il mondo del diritto […] si presta a governare la dialettica sociale facendosi lui stesso variabile: ciò lo conduce ad un eccesso di possibilità che vanno di volta in volta decise dal potere o dalla volontà fattualmente in vigore»[5]. Naturalmente, in questo scenario l’idea stessa di un «diritto naturale» che abbia un suo intrinseco valore diventa difficilmente concepibile, evidenzia Possenti: «nichilismo significa che non si dà alcun diritto che sia giusto in sé e misurato dal diritto naturale […] Nel nichilismo giuridico si manifesta la vittoria del positivismo giuridico assoluto, che separa problema del diritto e problema della giustizia»[6]. Ebbene, proclamandosi un giusnaturalista o più precisamente un giuspersonalista[7], Possenti esprime anche, contestualmente, la sua posizione antinichilista: esserlo significa sostenere che «esiste qualcosa che non può mai diventare diritto, anche se votato da una maggioranza»[8]. «Prosecuzione aggiornante» del giusnaturalismo classico, il giuspersonalismo costituisce da un po’, per Possenti, «un argine importante al nichilismo [in quanto riconosce] nella persona umana la sorgente ultima del diritto inteso non come qualcosa che muta secondo le pulsioni anarchiche dell’io, ma come l’espressione fondamentale di quanto è dovuto alla persona umana come tale»[9]; un argine, cioè, a quel volontarismo che, configurando la legge come un’espressione esclusiva della volontà umana, finisce in realtà col sacrificare la persona più autenticamente intesa[10]. L’impatto del nichilismo nella cultura e nel costume della nostra società è reso tanto più significativo e pericoloso, osserva Possenti, dalla sempre più accresciuta supremazia o, forse sarebbe meglio dire, «potenza» della tecnica, la quale, «mettendo a disposizione possibilità quasi illimitate di intervento e manipolazione, inclina a ritenere che il fattibile tecnicamente sia ispo facto lecito moralmente»[11]. La conseguenza, osservabile nella cultura e nel costume, è che diventa sempre più sfumata la differenza tra diritto e pretesa: l’area dei diritti umani, rectius dei pretesi diritti umani, si fa sempre più larga[12].

 

È proprio a tale ordine di riflessione che Possenti ha dedicato il suo ultimo lavoro monografico, Diritti umani. L’età delle pretese (2017), che, più precisamente, verte su tre nuclei tematici: «l’approfondimento della nozione di natura umana (e di persona) quale cammino necessario per elaborare e giustificare l’elenco dei diritti primari e un adeguato concetto di diritto naturale; un raffronto in merito tra le prospettive di san Tommaso d’Aquino e di Kant (i primi tre capitoli); l’odierno fatale squilibrio in Occidente tra l’esplosione incontrollata dei diritti e l’elusione dei doveri, a motivo della liquefazione dell’idea stessa di dovere/obbligazione (quarto capitolo); la pericolosità della posizione libertaria in rapporto alla crisi intellettuale che, in specie in Occidente e in specie per l’influsso dell’ideologia radical-libertaria, colpisce il progetto dei diritti, apre all’impiego indiscriminato delle biotecnologie, rischia di mutare i fondamenti prepolitici della società (capitoli V e VI)»[13]. Questo volume non intende aggiungersi, afferma Possenti, ai moltissimi esistenti sul mercato che si occupano dei diritti umani: suo obiettivo principale è, invece, riflettere sulla necessità di tenere distinti «diritti» e «pretese», «dal momento che vari presunti diritti dell’oggi sono solo pretese che si vestono da diritti in base al fatto che la scienza può soddisfarle»[14]. Dovendo i diritti umani essere intesi «come una custodia basilare dell’umano […] [l]a grande sfida postmoderna [su di essi] non è quella di estenderne universalmente l’ambito, il che era già posto come obiettivo in passato, ma di gestire in maniera coerente con la custodia dell’umano le nuove e travolgenti possibilità aperte dall’impatto della tecnologia sulle persone. […] La filosofia qui assunta fa perno sulle nozioni di natura umana e di persona, in base a cui non basta affidarsi alla sola “priorità della libertà”», scrive programmaticamente Possenti[15]. E infatti, quella «(liberal-libertaria)» è la concezione politica e/o ideologica cui egli imputa, qui come altrove[16], di trasformare semplici pretese soggettive in diritti, determinando di conseguenza l’esplosione del numero e dell’estensione dei diritti: non solo nascono sempre «nuovi diritti», ma i diritti umani «stanno diventando una religione secolare, forse l’unica religione cui il secolarismo presta fede»[17]. A tale concezione Possenti contrappone quella «personalistica» (e teistico-cristiana) o «dignitaria»[18] dei diritti umani, che fa perno sulla dignità dell’uomo e attribuisce valore e attenzione non solo alla libertà, ma anche all’uguaglianza e alla solidarietà/fraternità: in particolare, «[n]ella tradizione libertaria prevale l’idea di un individuo radicalmente autonomo e capace di autoderminazione, mentre [in quella dignitaria] si mette in luce che le persone sono esseri relazionali, non chiusi in un’isola»[19]. Come anticipato, Possenti si muove del tutto chiaramente nella prospettiva personalistica o dignitaria: i diritti umani sono per lui inscritti nel concetto di natura umana, e quindi nella persona, e sono dunque un’esplicitazione della dignità della persona; essi sono fondati sulla legge morale naturale, per cui ciascun uomo li possiede in virtù di essa e non di una legge positiva dello Stato che è invece preceduta da tali diritti[20]. Soltanto una tale prospettiva personalistica, afferma Possenti, appare in grado di fronteggiare quella concezione libertaria cui si deve una «idea massimalista» di libertà individuale e quindi l’accelerazione incontrollata dei «diritti di libertà»: «aborto, eutanasia, procreazione artificiale, matrimonio omosessuale, diritto al figlio e al figlio sano»[21]. Come si vede, e come noto, Possenti è infatti anche uno dei maggiori esponenti della bioetica cattolica e personalista italiana: in Diritti umani. L’età delle pretese egli affronta lo specifico tema della fecondazione eterologa e del preteso diritto a essa.

 

Tale tema bioetico e biogiuridico è qui affrontato da Possenti a partire dalla sentenza n. 162/2014 della nostra Corte costituzionale che, dichiarando l’illegittimità dell’art. 4, comma 3, della legge n. 40 del 2004, ha reso lecito in Italia il ricorso alla fecondazione artificiale eterologa. La collocazione di tale analisi in appendice al capitolo intitolato «Avvenire dei diritti dell’uomo» ha una ragione molto chiara: possiamo accettare, si chiede l’autore, che il futuro dei diritti umani contempli anche diritti basati «sulla sola libertà di scelta e sulla divina autonomia dell’uomo»[22]? Certamente sì per i radical-libertari, i quali idolatrano aspettative e pretese dei singoli fino all’elevarle all’assoluto, afferma Possenti[23]. La sua posizione è, naturalmente, di segno radicalmente contrario: dal momento che la tecnica consente ormai ogni «soluzione», la salvaguardia della dignità delle persone può essere assicurata soltanto distinguendo i «diritti» (autentici) dalle «pretese»: nel caso di specie, il «diritto al figlio» è una pretesa e non un diritto (autentico), perché «si possono vantare diritti in rapporto a cose, non in rapporto a soggetti»[24]. Il cd. diritto al figlio sembra costituire, insieme all’aborto, al diritto al figlio sano e più in generale alle rivendicazioni eugenetiche, una di quelle «azioni» riconducibili all’ambigua espressione dei «diritti riproduttivi», che riposa in realtà, afferma Possenti, sull’idea, molto precisa, di una più o meno illimitata libertà dell’adulto verso il nascituro, il concepito, il neonato[25].
Possenti critica la sentenza della Corte costituzionale da molteplici punti di vista. Provo a sintetizzare. La Corte afferma, in virtù degli artt. 2, 29 e 31 della Costituzione, il diritto alla formazione di una famiglia e il diritto di autodeterminazione delle coppie colpite da sterilità e infecondità irreversibili e, conseguentemente, il «diritto ad avere un figlio» come frutto di una «incoercibile» determinazione in capo alla coppia sterile o infertile. Nel ragionamento della Corte, afferma Possenti, la scelta di ricorrere alla fecondazione artificiale eterologa non fa che soddisfare la possibilità di esercitare tali diritti, malgrado le differenze esistenti sia tra le tecniche omologhe ed eterologhe che tra le situazioni esistenziali che ne accompagnano le rispettive «pratiche»: la fecondazione eterologa costituisce agli occhi della Corte, semplicemente, una species del genus fecondazione artificiale. Il divieto di eterologa previsto dalla legge 40/2004 violava il diritto alla salute sia fisica che psichica sancito dall’art. 32 della Costituzione: la grave penalizzazione in capo alle coppie sterili o infertili meritava, a parere della Corte, un miglior bilanciamento degli interessi e dei diritti, assicurato soltanto, appunto, dalla dichiarazione di liceità della fecondazione eterologa. Tuttavia, afferma criticamente Possenti, il «diritto al figlio» sostanzialmente creato dalla Corte costituisce l’espressione di una prevalenza dei «diritti di libertà» dell’adulto su ogni altro diritto che appare perfettamente riconducibile alla prospettiva «libertaria»[26].  «[I]l cercato bilanciamento tra diritti confliggenti [sembra quindi in realtà] fissato a favore dell’adulto [dal momento che] al figlio non sono riconosciuti i diritti fondamentali di avere genitori reali e di conoscere le proprie origini, chiaramente subordinati alla “incoercibile” libertà di autodeterminazione della coppia. Dunque più che di bilanciamento si deve parlare di prevaricazione di una parte sull’altra»[27]. Tra gli aspetti problematici della sentenza, vi sono, afferma Possenti, quelli legati alla nozione di paternità e alla figura del fornitore di gameti che è «fatta sparire nelle considerazioni della Corte»[28]. Più in generale, questi e altri delicatissimi profili implicati dalla fecondazione eterologa appaiano fatalmente sacrificati, afferma l’autore, all’altare della tecnica, che «conosce le regole del produrre e non le norme dell’agire […] [:] la procreazione umana viene riportata e ridotta a un problema tecnico»[29], con tutte le possibili ulteriori conseguenze del caso. In particolare, una volta resa lecita la fecondazione artificiale eterologa per le coppie sterili o infertili, «si possono pronosticare i prossimi passi a cui si potrebbe pervenire: la fecondazione eterologa per coppie capaci di procreare, per persone singole, per coppie omosex»[30]; e ancora: «mercato senza limiti dei gameti […] utero in affitto, “famiglie” plurigenitoriali o monogenitoriali, fine dei legami familiari come li abbiamo conosciuti, aumento esponenziale della distruzione degli embrioni umani, incremento degli interventi eugenetici»[31]. All’interno di tale scenario un ruolo tutt’altro che secondario è riservato da Possenti al «peso sproporzionato attribuito al diritto di tutela della salute fisica e psichica dell’adulto, un peso che rischia ormai di non avere limiti e che in genere viene fatto valere contro il soggetto debole non nato»[32]. In un volume almeno in parte più specificamente dedicato alla bioetica[33], Possenti parla di una «assolutizzazione del diritto alla salute» che finisce troppo spesso per compromettere un equilibrato e reale bilanciamento tra diritti diversi; al riguardo, un suo non celato bersaglio polemico è quella nozione di salute dell’OMS, secondo cui quest’ultima è data da un completo benessere fisico, psichico e sociale e non solo dall’assenza di affezioni e malattie, che, abbandonando il concetto di fisiologia o normalità di funzionamento che dovrebbe caratterizzare il concetto di salute come assenza di malattie, «[sposta] il problema sul lato soggettivo cui appartiene l’idea di completo benessere»[34]. Tutti i correlati concetti di fisiologia, patologia e terapia vengono così messi radicalmente in discussione. E soprattutto, emerge qui la possibilità di una «medicina dei desideri» in grado di negare l’idea stessa di limite naturale; ché forse, afferma Possenti, «la maggior parte dei problemi acuti che travagliano la medicina e la bioetica (procreatica, manipolazione genetica, Fivet, clonazione, ecc.) derivano [proprio] dal ruolo centrale assunto dal desiderio rispetto al bisogno»[35]. Una tale assolutizzazione del diritto alla salute, con tutte le sue implicazioni, tra cui l’abbandono dei concetti (tradizionali) di malattia e terapia e la confusione tra interventi terapeutici e interventi manipolativi-migliorativi, ha per lui alla base lo smarrimento di ogni rilevanza obiettiva della nozione di «natura», che «diventa soltanto il prodotto culturale storicamente variabile di scelte e decisioni del singolo in cui si esprimono [appunto] i suoi desideri, impulsi, istinti»[36]. «[S]ganciate da ogni obiettiva [cioè naturale] distinzione tra fisiologia e patologia, le aspirazioni del paziente o dell’uomo rischiano di essere subiettive o arbitrarie»[37]. Per ciò che più in particolare riguarda la fecondazione artificiale (eterologa), non solo, afferma Possenti, «la generazione artificiale extracorporea non è attualmente una terapia in senso proprio, poiché se è vero che riesce generalmente a mettere a disposizione l’effetto desiderato (il figlio), non interviene sulle cause, ossia non cura i soggetti sterili che rimangono tali e non vengono liberati dalla loro patologia»[38], ma soprattutto appare tanto inaccettabile quanto tutt’altro che irrealistico, in ragione dei successi della scienza e della sempre più diffusa mentalità scientista ed eugenetica, lo scenario secondo cui «la vera e sicura generazione [è destinata a diventare] quella interamente artificiale, non più il naturale concepimento seguito da gravidanza»[39]. In definitiva, una tale «rivoluzione» relativa alla procreazione, alla nascita, alla vita, alla famiglia, alla maternità, alla paternità e alla figliolanza, condotta sulla base di un preteso «diritto al figlio», non fa, per Possenti, che rivelare un pericolosissimo sentimento di onnipotenza dell’uomo[40].

 

Il pensiero di Possenti su diritti umani e bioetica con particolare riguardo alla fecondazione artificiale eterologa, appena sopra brevemente ricostruito, appare molto chiaro: in merito, proverò qui di seguito a svolgere qualche osservazione di carattere per lo più sociologico-giuridico.

 

Innanzitutto, emerge con estrema evidenza dalle parole di Possenti la preoccupazione per una deriva libertaria avente a oggetto quella «rivoluzione riproduttiva»[41] ancora pienamente in corso e i cui momenti fondamentali sono stati, come noto, la diffusione di metodi contraccettivi efficaci, il riconoscimento alla donna del diritto di controllare la gravidanza (ed eventualmente interromperla), lo sviluppo e il perfezionarsi delle tecnologie riproduttive, in particolare la fecondazione in vitro, la ricerca e le prime applicazioni sul terreno della ingegneria genetica[42]. Il passaggio cruciale di questa rivoluzione è l’ampliamento sino a qualche tempo fa impensabile delle possibilità di «scelta» in campo riproduttivo per gli individui a scapito del «destino»; sembra, anzi, profilarsi ormai una sorta di diritto all’«antidestino»[43]: la possibilità non soltanto di scegliere se riprodursi o meno e come riprodursi, ma anche di «determinare per scelta le caratteristiche di chi nascerà. Alcuni tratti dell’identità del nascituro, infatti, possono essere non solo previsti ma anche attivamente selezionati»[44]. Orbene, appare assolutamente legittimo temere lo scenario di quel «cogestire l’evoluzione» o «recitare la parte di Dio»[45] che soprattutto l’ingegneria genetica lascia prefigurare. Pensiamo, ad esempio, a quelle nuove forme di vita su ordinazione, a quei wonderwoman e superman[46] che ci proiettano verso «una bioetica post-umana, che ai limiti della fantascienza ipotizza la manipolazione del corpo umano finalizzato alla creazione di ibridi uomo-macchina»[47]. Su tutto ciò, anche la sociologia, a partire dallo stesso concetto di persona caro a Possenti, può dire qualcosa[48], ma, indubbiamente, è soprattutto la filosofia ad aver prodotto riflessioni alcune delle quali diventate ormai classiche[49].

 

Le osservazioni che seguono saranno, pertanto, più specificamente circoscritte ai «diritti riproduttivi» e soprattutto al cd. «diritto al figlio»: per Possenti si tratta di «pretese» più che di «diritti», secondo la distinzione che ha motivato, e che anima, il suo volume.

 

Ora, Possenti ha perfettamente ragione nel voler distinguere con forza tra diritti e pretese: troppo spesso, infatti, i diritti umani sono evocati nel tentativo di giustificare con la forza emotiva e retorica loro propria pretese che, a una più approfondita analisi, si rivelano non trasformabili in diritto[50]. Beninteso, la «rivoluzione culturale»[51] dei diritti umani costituisce uno dei momenti più rilevanti della storia dell’umanità: si pensi, per fare solo un esempio, a come la dottrina dei diritti umani abbia contribuito a trasformare il diritto internazionale conferendo un impulso decisivo al rispetto della dignità di tutti gli esseri umani[52]. Nondimeno, è sotto gli occhi di tutti come l’elenco dei diritti umani, o pretesi tali, sia diventato sempre più ricco e articolato, per cui non da ieri vi è chi giustamente avverte che «l’accettazione affrettata e acritica quali diritti umani di tutte quelle richieste che vengono avanzate […] equivarrebbe […] a condannare la teoria dei diritti umani in una zona oscura e ambigua che ne comprometterebbe lo status giuridico e scientifico»[53].  E certamente, per ciò che qui più interessa, non poche tra le rivendicazioni o pretese che hanno necessitato e necessitano di essere «vagliate» per valutarne la configurabilità in termini di diritti (umani) appartengono all’ambito bioetico.

 

Ciò detto, per quanto riguarda i «diritti riproduttivi», essi sono però ormai non pretese, bensì diritti umani giuridicamente riconosciuti. La sociologia del diritto, che pure ha a lungo trascurato il tema dei diritti dell’uomo[54], ha il compito, tra gli altri, di analizzare la formazione dei diritti dell’uomo come strettamente legati all’evoluzione della società[55]; si tratta di un’indagine di natura storico-sociologica cha ha dato vita a quella che possiamo più specificamente definire «sociologia dei diritti umani»[56]. Ebbene, in seno a quest’ultima, che integra l’analisi storico-sociologica con un’indagine puntuale delle fonti di diritto interessate, i diritti riproduttivi sono stati recentemente tematizzati come diritti umani di ultima generazione[57].

 

Beninteso, i diritti riproduttivi sono diritti riconosciuti ma controversi: è la loro stessa nozione a ricevere critiche talvolta molto severe[58]; e Possenti, come si è visto, ritiene che dietro questa «formula» si annidino istanze libertarie e prevaricatrici degli adulti nei confronti del concepito o neonato.

 

Ma quali sono i diritti riproduttivi? E soprattutto, comprendono il «diritto al figlio»? Innanzitutto, i diritti riproduttivi sono tre: il «diritto di fondare una famiglia», il «diritto di decidere il numero e l’intervallo dei figli» e il «diritto all’informazione e istruzione sulla pianificazione familiare e di accesso ai relativi servizi»[59]. Quanto al diritto al figlio, se lo intendiamo come diritto di procreare, esso rientra certamente tra i diritti riproduttivi perché il «diritto di procreare», anche se non è esplicitamente previsto da una disposizione a livello internazionale, è pacificamente compreso nel «diritto di fondare una famiglia», essendone una sua naturale proiezione/esplicitazione: il diritto di fondare una famiglia non può che prevedere anche la possibilità di procreare[60]. In questi termini, quindi, il diritto al figlio non «fa problema». È chiaro, tuttavia, che quando Possenti critica il «diritto al figlio», non si riferisce al «diritto di procreare», bensì al «figlio a tutti i costi», cioè al figlio ottenuto attraverso la fecondazione artificiale, più precisamente attraverso la fecondazione eterologa. Anche in tale caso, non esistendo alcuna norma di diritto internazionale che preveda espressamente come diritto fondamentale il «diritto di procreare artificialmente», la questione è se quest’ultimo possa essere dedotto dal «diritto di fondare una famiglia» (o dallo stesso diritto di procreare). Ebbene, parte della dottrina risponde affermativamente. Non solo: per altri, un diritto alla fecondazione artificiale sembra potersi dedurre, oltre che dal diritto di fondare una famiglia, anche dalle norme di diritto internazionale che tutelano il «diritto al rispetto della vita privata e familiare» e dalle norme che tutelano il «diritto alla salute», compresa la salute riproduttiva[61].

 

Al di là della sua «posizione» all’interno di una «teoria generale dei diritti riproduttivi», è necessario però riflettere criticamente sul «diritto di procreare artificialmente», se si vogliono scongiurare le derive libertarie ed eugenetiche giustamente temute da Possenti. Del resto, la sociologia del diritto -oltre al compito, già segnalato, di provare a rispondere alla domanda consistente nel chiedersi quali siano i diritti effettivamente riconosciuti, e possibilmente garantiti, come diritti umani[62]– ha anche quello della «rilevazione ed elaborazione critica di quei diritti ancora in fieri nel costume sociale e non ancora incardinati e sanciti nelle leggi»[63]. Ebbene, personalmente ritengo che il diritto di procreare artificialmente debba essere considerato e/o «costruito», cioè elaborato, come un diritto sì fondamentale, o umano (in quanto enucleabile a partire sia dal diritto di fondare una famiglia che dal diritto alla salute), ma non «assoluto», bensì «relativo»: il che significa, da un lato, riconoscere e tutelare i «concorrenti» diritti del nascituro, dall’altro, considerare la fecondazione artificiale «soltanto» come una terapia della sterilità. L’esistenza di un diritto di procreare artificialmente non può significare, insomma, come sembrerebbe chiaro, che ogni individuo abbia il diritto di ricevere qualsiasi servizio di procreazione assistita da lui desiderato. Una tale configurazione di tale diritto appare peraltro perfettamente in linea con la stragrande maggioranza dei diritti dell’uomo, pochissimi dei quali possono essere considerati «assoluti»: lo sono certamente il diritto a non essere sottoposto a schiavitù o quello a non essere torturato, perché in questi casi «l’azione che viene considerata illecita […] è universalmente condannata. […] Nella maggior parte delle situazioni, in cui viene in questione un diritto dell’uomo, accade invece che due diritti altrettanto fondamentali si [fronteggino] e non si [possa] proteggere incondizionatamente l’uno senza rendere inoperante l’altro. Si pensi, per fare un esempio, al diritto alla libertà d’espressione, da un lato, e al diritto a non essere ingannati, […] ingiuriati, diffamati, vilipesi, dall’altro. In questi casi, che sono la maggior parte, si deve parlare di diritti fondamentali non assoluti ma relativi, nel senso che la loro tutela incontra a un certo punto un limite insuperabile nella tutela di un diritto anch’esso fondamentale ma concorrente»[64]. E che i diritti «bioeticamente rilevanti» si prestino in modo particolare a tali «classiche» e certamente decisive osservazioni in tema di diritti umani lo si può facilmente intuire.

 

Tornando al diritto di procreare artificialmente, per ciò che riguarda il complesso e delicato tema dei diritti del nascituro, giustamente enfatizzato da Possenti, non posso qui[65] che limitarmi a osservare che non si dovrebbe mai dimenticare che le tecniche di fecondazione artificiale si presentano come un tentativo di risposta a una domanda (e a un desiderio) di genitorialità destinata a realizzarsi solo con la nascita di un bambino; è quest’ultimo il protagonista della fecondazione artificiale, colui che ci consente di qualificarla, anche tecnicamente, come riuscita o fallita; appare quindi addirittura ovvio che il diritto alla fecondazione artificiale in capo agli aspiranti genitori debba considerarsi «concorrente» coi fondamentali diritti del nascituro. Sembrerebbe, cioè, del tutto intuitivo che non solo la procreazione in generale, ma più specificamente la fecondazione artificiale costituiscano oggetto di un «diritto relazionale» che coinvolge esemplarmente più soggetti[66]. Eppure, per non fare che un esempio, vi è chi, parlando della fecondazione artificiale (e di eventuali interessi o diritti da essa implicati), ha scritto: «è possibile parlare del bene del bambino quando il bambino esiste […]. Scegliere […] se un bambino nascerà o meno è una scelta del tutto differente. L’intera impresa infatti è manifestamente per il bene dei possibili futuri genitori. Nascere o meno non si può dire chiaramente che sia per il bene del bambino o per il suo male. Di che bambino stiamo parlando?»[67].

 

Quanto al secondo elemento di un diritto di procreare artificialmente come diritto fondamentale ma «relativo», costituito dalla «definizione» della fecondazione artificiale come «terapia» della sterilità/infertilità, è necessario preliminarmente ricordare che ci sono fondamentalmente «due modi di guardare alle tecnologie della riproduzione: […] come un aumento delle possibilità di scelta della donna per ciò che riguarda i modi e i tempi del procreare e, secondo […] un’interpretazione più stretta e rigorosa, […] come terapia della sterilità»[68]. L’alternativa era, e resta, proprio questa, in tutta la sua perentorietà: o si ritiene che la fecondazione artificiale sia una terapia della sterilità/infertilità oppure la si considera una forma di procreazione alternativa a quella naturale, vale a dire «una nuova forma di riproduzione umana», come recitava il sottotitolo di uno studio di un noto bioeticista italiano[69]. Orbene, considerare la fecondazione artificiale come una nuova e alternativa forma di riproduzione umana significa configurare il diritto a essa come non solo fondamentale, ma «assoluto»: non si richiederebbe, per il suo esercizio, nulla di più e di diverso rispetto al diritto di procreare naturalmente. Emblematiche appaiono, al riguardo, le parole contenute in un «Manifesto per la libertà di procreare» di una ventina di anni fa che mantiene tutta la sua attualità e chiarezza concettuale: «La fecondazione assistita è stata messa a punto come rimedio alla sterilità, e in quanto terapia essa non dovrebbe suscitare riserve in nessuno. Oltre a essere un rimedio alla sterilità […], la fecondazione assistita apre anche altri orizzonti: per esempio […] consente a una donna sola di generare un figlio al di fuori di un rapporto sessuale. […] L’imposizione di forti vincoli all’accesso alle tecnologie di procreazione assistita (per esempio alle donne sole) costituisce una minaccia per la libertà di procreazione, uno dei diritti fondamentali della persona, perché la decisione di procreare (o di non procreare) ha un ruolo centrale circa il significato della vita delle persone, la loro dignità e il loro senso di identità. Che quel diritto venga esercitato “naturalmente” o “artificialmente” non costituisce, di per sé, una distinzione di principio dominante»[70]. In una tale prospettiva, che equipara la fecondazione artificiale alla procreazione naturale, eventuali vincoli o criteri relativi alla fecondazione artificiale e all’accesso a essa avrebbero il torto di limitare o compromettere il (più generale) diritto di procreare: se la procreazione costituisce un momento di straordinaria rilevanza per la dignità, la personalità e la stessa vita dell’individuo e se quindi la tutela del suo libero esercizio merita il rango di diritto assolutamente fondamentale, come si può pensare di attribuire rilevanza discretiva alle sue diverse modalità di compimento, al fatto cioè che la procreazione avvenga naturalmente ovvero attraverso tecniche di fecondazione artificiale? Insomma, secondo questa prospettiva, se si considera il diritto di procreare (naturalmente) un diritto umano assoluto, anche quello di procreare artificialmente deve essere considerato tale. Come è chiaro, il carattere terapeutico della fecondazione artificiale diventa in questa prospettiva un elemento del tutto secondario, non più costitutivo e comunque non vincolante rispetto all’accesso alle tecniche di fecondazione artificiale. Queste ultime, nate e sviluppatesi come rimedi alla sterilità, sembrano qui proiettate verso un’ulteriore e diversa dimensione, ponendo un tema del tutto diverso e per certi aspetti più profondo di quello della cura della sterilità, «un problema di tipo politico (in senso lato) o, più generalmente, di scelta di civiltà: la scelta in proposito non riguarda il modo diverso di consentire agli individui di “curarsi” una malattia, ma il diverso modo in cui l’umanità deve riprodursi e porsi di fronte al proprio futuro»[71].

 

Beninteso, il modo di intendere la fecondazione artificiale, e il diritto a essa, appena sopra ricostruito è espresso e/o legittimato da rilevanti posizioni dottrinali, culturali e filosofiche: si pensi al «liberalismo riproduttivo» di John A. Robertson e Max Charlesworth, all’utilitarismo di Eugenio Lecaldano, al modello «contrattualista» di Carmel Shalev o, ancora, a parte del variegato pensiero femminista sulle tecnologie riproduttive[72]. Come anticipato, però, la fecondazione artificiale deve essere, a mio parere, considerata «soltanto» una terapia della sterilità. Circa il suo carattere terapeutico, ha peraltro ragione Possenti quando sostiene che la fecondazione artificiale non cura i soggetti sterili, i quali rimangono tali non venendo affatto liberati dalla loro patologia. Nondimeno, le tecniche di fecondazione artificiale sono certamente terapie almeno «in senso lato o debole: infatti, lungi dal rendere fertile un grembo che tale non è o dall’abilitare un organo all’esercizio, sia pur temporaneo, della propria funzione, aggirano in diversi modi gli ostacoli che si frappongono alla fecondazione o alla gestazione, ostacoli che [appunto] rimangono anche se la coppia ottiene un figlio»[73]. Insomma, deve considerarsi terapeutico almeno in senso lato un intervento, come quello costituito dalle tecniche di fecondazione artificiale, idoneo, se non a rimuovere, a superare la sterilità, la cui natura patologica, quando ovviamente non imputabile al naturale invecchiamento, non sembra revocabile in dubbio né dal punto di vista della nozione di malattia fisica, dal momento che risulta impedita una funzione biologica fondamentale, né dal punto di vista del disagio e della sofferenza di natura psichica o psicologica che essa può procurare[74]. Non sembri quest’ultima notazione un’apertura «libertaria». È vero, infatti, che, a differenza di quanto sembra pensare Possenti, una certa dilatazione della nozione di salute, come quella operata dell’OMS, che coinvolge ormai oltre alla dimensione fisica anche quelle sociale e psicologica, appare anche sociologicamente indiscutibile: malattia, salute e benessere non sono invarianti culturali, bensì concetti legati ai contesti storici e alle mutevoli dinamiche socio-culturali. Nondimeno, è proprio sottolineando la natura specificamente terapeutica e non solo o semplicemente medica della fecondazione artificiale che è possibile evitare che essa diventi una «prestazione» riconducibile a quella «medicina dei desideri», questa sì giustamente stigmatizzata e temuta da Possenti, diretta non a curare o prevenire le malattie, bensì ad andare incontro a preferenze personali che la medicina può appunto soddisfare. Considerare la fecondazione artificiale un atto medico ma non terapeutico significa, infatti, ad esempio, consentirne l’accesso a una coppia fertile che decida di avere un figlio pur senza avere rapporti sessuali o, soprattutto, a una coppia fertile che, attraverso la donazione di gameti di particolari donatori, intenda avere figli con determinate caratteristiche, o che, attraverso la selezione dei cromosomi del seme paterno o la selezione degli embrioni in vitro, intenda predeterminarne il sesso. Non è un caso, del resto, se cliniche private organizzate come «supermarket», cui gli aspiranti genitori si rivolgono con precise richieste in termini di origini, tratti somatici e più in generale caratteristiche del figlio, esistono proprio in quei paesi dove la fecondazione artificiale (e il diritto a essa) non è strettamente legata alla sua originaria funzione di terapia della sterilità[75]. In conclusione, solo definendo la fecondazione artificiale come terapia della sterilità appare possibile limitare quei passaggi ulteriori e inaccettabili cui, secondo Possenti, la fecondazione eterologa può condurre e quindi fronteggiare quel pericoloso sentimento di onnipotenza dell’uomo che la «pretesa» costituita dal cd. diritto al figlio esemplarmente rivelerebbe.

 

In questa breve nota ho voluto, in primo luogo, segnalare la pubblicazione dell’ultimo volume di un filosofo italiano importante, come Vittorio Possenti, che ha avuto modo di riflettere spesso sul diritto e su questioni bioetiche e biogiuridiche. L’uno e le altre sono da lui, per lo più, affrontate in una prospettiva, appunto, filosofica; ché anzi in particolare la bioetica è per Possenti una costruzione e un’attività di ordine fondamentalmente filosofico/razionale[76]. Per la verità, la fecondazione artificiale, che è lo specifico argomento bioetico oggetto di Diritti umani. L’età delle pretese, non è qui tematizzata in termini (squisitamente) filosofici; lo spunto è costituito da una sentenza della Corte Costituzionale avente a oggetto la legge n 40 del 2004, e ciò su cui Possenti, in buona sostanza, si interroga è se, in un’epoca che può definirsi come l’«età delle pretese», la fecondazione artificiale, rectius un diritto a essa debba considerarsi un autentico «diritto» o invece, come molti altri, un’indebita «pretesa». Egli non ha dubbi: si tratta di una pretesa. Ebbene, in secondo luogo, ho voluto «discutere» tale posizione di Possenti: un «diritto a procreare artificialmente» è, in realtà, ben configurabile anche se, almeno dal mio punto di vista, come diritto «relativo», condizionato, cioè, ai concorrenti diritti del nascituro e alla funzione terapeutica della fecondazione artificiale. Preciso conclusivamente al riguardo che -se Possenti ha giustamente affermato, in premessa al suo volume, che non intendeva aggiungersi allo sterminato elenco di studi e libri esistenti sui diritti umani, volendo mettere a tema un’altra questione, quella, appunto, della distinzione tra diritti (autentici) e pretese- questo mio intervento non ha, a sua volta, inteso aggiungersi all’altrettanto ricca e spesso ripetitiva letteratura prettamente bioetica sulla fecondazione artificiale: ciò che, invece, ho provato a fare è segnalare, o ribadire[77], la possibilità di una riflessione, a carico di un diritto alla fecondazione artificiale più che di quest’ultima in sé, di carattere sociologico-giuridico, più specificamente riconducibile alla «sociologia dei diritti umani», e che invero coinvolge anche, in termini che meriterebbero di essere ben ulteriormente approfonditi rispetto a quanto si è potuto qui, la sociologia della salute, che pure con i temi bioetici ha in generale già maturato una più consolidata frequentazione[78].

 

Paolo Iagulli ha insegnato, tra l’altro, Sociologia generale (SPS/07) all’Università degli Studi di Bari «Aldo Moro». Email: piagulli@iol.it

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