Storia e sociologia delle emozioni

Storia e sociologia delle emozioni.

Note di lettura

Paolo Iagulli*

Emotions are now «under observation» for many reasons by the most perceptive analysts and scholars from various disciplines, but also by newspaper columnists concerned, for instance, about the ways in which emotions are being dangerously and unscrupulously played upon by part of the contemporary political spectrum. Worthy of note among the latest scientific publications is a weighty volume by Jan Plamper dedicated to the history of emotions which is also extremely useful for a more general understanding of the emotions. The book is briefly reviewed in this article, particularly as regards its relevance for another interesting and youthful sub-discipline, the sociology of emotions.

 

  1. Emozioni, sentimenti, passioni e stati d’animo sono ormai debitamente considerati una componente centrale della vita sociale. Discipline come la storia e la sociologia fanno registrare da qualche decennio, al loro interno, specifici filoni di studi e ricerche: la storia delle emozioni e la sociologia delle emozioni costituiscono sotto-discipline più o meno istituzionalizzate nei diversi contesti geografico-culturali ma ormai largamente riconosciute. Probabilmente, da noi siamo ancora un po’ indietro, ma sia per la sociologia delle emozioni che per la storia delle emozioni cominciano ad arrivare segnali importanti e al contempo incoraggianti: penso, per la prima, alla recentissima pubblicazione del primo manuale italiano di sociologia delle emozioni[1], per la seconda, alla traduzione nella nostra lingua, sempre nel 2018[2], di due lavori di assoluto rilievo come Medioevo sensibile. Una storia delle emozioni (secoli III-XV) di Damien Boquet e Piroska Nagy, per Carocci, e Storia delle emozioni di Jan Plamper, per il Mulino.

È su quest’ultimo volume che mi vorrei qui brevemente soffermare, segnalandolo per l’interesse che è destinato a riscuotere in un ambito non confinabile agli studi storici. «Tecnicamente» si tratta, infatti, di un’introduzione, peraltro molto robusta, alla storia delle emozioni; nondimeno, le molte nozioni in esso contenute forniscono al lettore preziose e più generali chiavi d’ingresso al complesso tema delle emozioni: ad esempio, il modo migliore per approcciarlo è certamente costituito dalla contrapposizione, legata a quella tra «natura» e «cultura», tra «universalismo» e «costruttivismo sociale», e proprio quest’ultima costituisce il «filo rosso» della trattazione di Plamper. Con pregevole chiarezza sistematica, l’autore tematizza, distintamente, il contributo che al tema delle emozioni hanno fornito, a partire dall’Ottocento (in precedenza la riflessione sulle emozioni era affidata alla filosofia, alla teologia, alla letteratura e alla medicina), 1) le scienze storiche, 2) l’antropologia, «titolare» per eccellenza del punto di vista sociocostruttivista, e 3) le cd. scienze della vita, in particolare la psicologia e più di recente le neuroscienze, «depositarie» della prospettiva universalista. È attraverso un’informatissima ricognizione che Plamper descrive la risposta che tali diverse discipline hanno fornito alla domanda capitale consistente nel chiedersi cosa siano le emozioni. Al lettore è restituito un quadro d’assieme talmente puntuale e ricco di approfondimenti e riferimenti a teorie e autori che anche i meno avvezzi, o addetti, al tema non potranno, alla fine, non farsi un’idea avvertita della questione: le emozioni sono il frutto di una «costruzione sociale», culturalmente contingenti e relative, oppure sono rimaste fondamentalmente invariate nel corso della storia? Oppure esse possono essere più adeguatamente spiegate e comprese, come in buona sostanza invita a fare l’autore, solo cercando di superare il divario tra le due prospettive, evitando così anche qualsiasi estremismo «ideologico»?[3]

Il libro «resta» nondimeno un contributo di storia delle emozioni; gli approfondimenti sulla antropologia delle emozioni, da un lato, e sulla psicologia e le neuroscienze, dall’altro[4], sono sempre funzionali a una storia delle emozioni che precede il pur fondamentale pionieristico contributo di Lucien Febrve (1878-1956)[5] e che all’inizio del nuovo millennio ha avuto una vera e propria esplosione, cui hanno decisivamente contribuito, secondo Plamper, gli attentati dell’11 settembre 2001[6]. Le prospettive per la storia delle emozioni sembrano all’autore brillanti non solo perché autori come William Reddy e Monique Scheer sono seriamente impegnati a superare il divario tra il sociocostruttivismo della ricerca antropologica sulle emozioni e l’universalismo della psicologia cognitiva e delle neuroscienze, ma anche perché molteplici appaiono gli ambiti in cui la ricerca storica sulle emozioni promette risultati interessanti: Plamper fa riferimento a sottodiscipline delle scienze storiche, come ad esempio la storia politica, la storia economica, la storia del diritto e la storia dei media, cui una prospettiva incentrata sulle emozioni non potrà che arrecare significativi benefici[7].

 

  1. Nel seguito di questa breve nota, mi concentrerò, in modo molto schematico, su qualche aspetto del libro di Plamper interessante (anche) per la sociologia delle emozioni.

2.1. La contrapposizione cui si è fatto sopra riferimento, quella tra universalismo e sociocostruttivismo, ha segnato in modo piuttosto netto anche la nascita della sociologia delle emozioni. E non poteva essere diversamente, perché, per quanto sia auspicabile un dialogo tra le due prospettive, esse comunque costituiscono i due (originari) paradigmi di riferimento in tema di emozioni. E quando Arlie Russell Hochschild in suo articolo pionieristico del 1979, recentemente tradotto in italiano[8], delineava le coordinate della nascente sociologia delle emozioni, non poteva fare a meno di notare che due sembravano destinate a diventare le sue prospettive fondamentali, quella positivista e quella interazionista; ebbene, la prima si sarebbe appoggiata su una nozione (psicologico-sociale) tendenzialmente universalista delle emozioni, la seconda su una definizione tendenzialmente costruzionista[9].

2.2.  Nel ricostruire un’embrionale storia delle emozioni prima della nascita di una storia delle emozioni più o meno ufficiale o istituzionalizzata[10], Plamper fa riferimento ad autori che possono essere pacificamente ricompresi anche in un’embrionale sociologia delle emozioni prima della nascita «ufficiale» della sociologia delle emozioni, avvenuta, come sopra accennato, solo nella seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso: essi sono Georg Simmel (1858-1818), Max Weber (1864-1920) e Norbert Elias (1897-1990). Quando poi descrive l’importante sviluppo fatto registrare dalla storia delle emozioni negli anni Ottanta del secolo scorso, Plamper fa riferimento a studiosi come Peter Stearns e Carol Zisowitz Stearns, i quali coniarono il termine «emozionologia» (emotionology) per designare le norme sulle emozioni: si tratta di autori, e di una nozione, come è noto, ben presenti anche negli studi sociologici sulle emozioni.

Insomma, (anche) sul tema delle emozioni la storia e la sociologia possono dire molte cose insieme, certo ciascuna con le sue peculiarità, ma interdisciplinarmente o, se si preferisce, transdisciplinarmente[11].

2.3.     In qualche modo emblematico al riguardo è il caso del già ricordato Norbert Elias. Del resto, egli è ormai un classico della sociologia, ma certamente anche una lettura obbligata per gli storici[12], e nell’ambito della stessa storia del pensiero sociologico è spesso ricondotto alla cd. sociologia storica. Non è certo questa la sede per soffermarsi in alcun modo sul suo «processo di civilizzazione»[13] e su come a esso sia strettamente, ancorché non esclusivamente, legato il suo contributo alla sociologia delle emozioni[14]. Peraltro, la tesi secondo cui il passaggio dall’età medioevale all’età moderna sia fortemente segnato da un progressivo «controllo degli affetti», che costituisce il nucleo fondamentale della sua teoria della civilizzazione, appare tutt’altro che pacificamente accettata dagli stessi storici[15]. Mi limito qui, in primo luogo, e per ciò che riguarda il rapporto tra storia e sociologia (e non solo), a ricordare le parole di uno dei maggiori studiosi italiani di Elias: «[egli] sviluppa una concezione integrata delle scienze dell’uomo: le strutture psichiche, le strutture della società e le strutture della storia presentano intrecci paralleli e complementari che non si possono cogliere isolando le diverse componenti. Così sociologia, storia e psicologia (ma anche biologia e antropologia) non possono svilupparsi se non in stretto rapporto reciproco e non in modo autonomo e isolate le une dalle altre»[16]. In secondo luogo, appare senz’altro condivisile anche dal punto di vista della sociologia delle emozioni (non solo eliasiana) quanto Plamper afferma circa il contributo di Elias alla storia delle emozioni, e cioè che egli, piantando con ciò dei fondamentali paletti rispetto a essa, ha sviluppato una concezione delle emozioni che includeva elementi sia dell’universalismo che del costruzionismo sociale: le emozioni si configurano nella sua visione «come concetto intersoggettivo, prodotto delle interrelazioni tra natura fissa e ambiente mutevole»[17].

2.4      Plamper ha perfettamente ragione quando scrive che l’antropologia costituì l’avanguardia degli approcci socio-costruttivisti ai sentimenti e alle emozioni, in particolare a partire dagli Ottanta del secolo scorso, quando i successi del post-strutturalismo, l’ingresso in una condizione postmoderna e l’irrompere di movimenti socio-politico-culturali quali quello delle donne, degli omosessuali  e delle lesbiche, determinarono anche in altre scienze umane e sociali un più generale mutamento di paradigma teorico: si affermò, ad esempio, la nozione di «costruzione sociale» di categorie quali l’identità e il genere, prima per lo più considerate «naturali», e su questa scia finì per collocarsi anche la categoria delle emozioni[18]. In questa prospettiva, per dirla come fa Plamper con Catherine Lutz, una delle più importanti antropologhe costruzioniste di questo periodo, «la tesi è che l’esperienza emotiva non è pre-culturale, ma è in sé eminentemente culturale»[19]. Per la verità, va detto che l’antropologia ha in qualche modo oscillato nei suoi diversi periodi tra sociocostruttivismo e universalismo e che essa, nei più tardi anni Novanta e nei primi anni del XXI secolo, ha fatto in realtà registrare, non diversamente dalla storia delle emozioni, significativi tentativi di superare tale dicotomia[20]. Ma certamente, in termini generali, come pure scrive Plamper, «nessun’altra disciplina ha messo così in crisi la concezione secondo cui le emozioni sarebbero astoriche e uguali in ogni luogo»[21], la concezione cioè universalista, legata alla biologia, alla psicologia e più in generale alle scienze della vita.

E la sociologia delle emozioni? É solo all’interno del capitolo dedicato all’antropologia, più precisamente quando Plamper fa un bilancio provvisorio dell’antropologia delle emozioni sociocostruttivista[22], che egli dedica alla sociologia (delle emozioni) un excursus. Ciò è del tutto comprensibile, dal momento che per lui la sociologia, non diversamente dall’antropologia, costituisce «soltanto» un «importante serbatoio di idee per le scienze storiche»[23]: quello che per l’antropologia è la cultura, per la sociologia è il sociale; l’antropologia si concentra sulle differenze nello spazio geografico, la sociologia sulle differenze nelle spazio sociale[24]. Si potrebbe obiettare che nell’impianto topografico di Plamper la sociologia sembra costituire una parte, o una «specie» dell’antropologia. Ciò presumibilmente non era nelle sue intenzioni. E non sto comunque qui, naturalmente, a rivendicare una maggiore o eguale rilevanza della sociologia rispetto alla antropologia nella riflessione sulle emozioni. Ché anzi va riconosciuto a Plamper di aver ben individuato, sulla scorta degli studi di Helena Flam[25], i nomi di quei classici della sociologia che, pur non essendo sociologi delle emozioni, fornirono interessanti spunti e talvolta illuminanti intuizioni: oltre ai già ricordati Simmel, Weber ed Elias, Karl Marx (1818-1883), Émile Durkheim (1858-1917), Vilfredo Pareto (1848-1923), George Herbert Mead (1863-1931), Pitirim Sorokin (1889-1968) e Talcott Parsons (1902-1979); successivamente, gli va anche riconosciuto di aver ricostruito con precisione alcuni aspetti della riflessione di Arlie Russell Hochschild, già sopra ricordata pioniera della disciplina, ed Eva Illouz, sociologhe delle emozioni contemporanee e stricto sensu di primissimo piano. Mi limiterei ad aggiungere e/o a precisare che la sociologia delle emozioni non è sic et simpliciter costruzionista, come la collocazione operata da Plamper nel paragrafo dedicato all’antropologia socio-costruttivista potrebbe indurre a pensare. Ho già accennato al fatto che la sociologia delle emozioni nasce attorno alla dialettica tra positivismo (universalismo almeno tendenziale) e interazionismo (costruzionismo non radicale). Ebbene, tale dialettica proseguirà anche dopo i pionieristici anni Settanta e Ottanta, anche se, certo, sarà la sociologia delle emozioni  interazionista (o costruzionista non radicale) a fornire le definizioni/nozioni di emozione più complete e quindi convincenti, avendo il merito di non disattendere le caratteristiche invarianti delle emozioni, legate alla biologia/fisiologia, ma anche quello di enfatizzare il ruolo fondamentale svolto dalla cultura e dai rapporti e dalle relazioni sociali nell’esperienza, e nella fenomenologia, delle emozioni[26].

 

  1. Mi sono concentrato, in questa breve nota di presentazione del volume di Plamper, su qualche passaggio interessante nella prospettiva della sociologia delle emozioni. Concluderei, però, sottolineando, più in generale, come la traduzione del ponderoso contributo di Plamper non possa che contribuire a una migliore, e più agevole, comprensione di molti aspetti, di base e non, storici e teorici, di quel delicato e complesso mondo emozionale (e quindi dell’azione emozionale) che è ormai, legittimamente e del tutto comprensibilmente, un «osservato speciale» degli analisti più avvertiti, che non sono certo soltanto antropologi, sociologi o storici professionisti: basti pensare, per limitarci a un esempio apparentemente controintuitivo, alla geopolitica delle emozioni[27], e/o, molto più banalmente, a come le emozioni vengono pericolosamente «agite» dalla più spregiudicata politica contemporanea.

 

 

 

 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

Boquet Damien e Nagy Piroska, 2018, Medioevo sensibile. Una storia delle emozioni (secoli III-XV). Carocci, Roma (ed. orig. 2015).

 

Cavalli Alessandro, 2000, «Considerazioni sulla lezione sociologica di Norbert Elias». In La sintesi possibile. Saggi su Norbert Elias, a cura di Marcello Strazzeri, 59-76. Pensa Multimedia, Lecce.

 

Cerulo Massimo, 2018, Sociologia delle emozioni. Il Mulino, Bologna.

 

Comte Auguste, 2017, Feticismo e sentimenti, a cura di Paolo Iagulli e Lorenzo Scillitani. Rubbettino, Soveria Mannelli.

 

Elias Norbert, 1988, Il processo di civilizzazione. Il Mulino, Bologna (ed. orig. 1939 e, in seconda edizione, 1969-1980).

 

Flam Helena, 2002, Soziologie der Emotionen. Eine Einführung. UVK Verlagsgesellschaft, Konstanz.

 

Hochschild Arlie Russell, 2013, Lavoro emozionale e struttura sociale, a cura di M. Cerulo. Armando editore, Roma (ed. orig. 1979).

 

Iagulli Paolo, 2011, La sociologia delle emozioni. Un’introduzione. FrancoAngeli, Milano.

 

Iagulli Paolo, 2016, «La sociologia delle emozioni di Norbert Elias: un’analisi preliminare». In Sociologia italiana. AIS Journal of Sociology, n. 7: 49-70.

 

Lutz Catherine A., 1988, Unnatural Emotions. Everyday Sentiments on a Micronesian Atoll and Their Challenge to Western Theory. The University of Chicago Press, Chicago.

 

Moïsi Dominique, 2009, Geopolitica delle emozioni. Garzanti, Milano (ed. orig. 2009).

 

Plamper Jan, 2018, Storia delle emozioni. Il Mulino, Bologna (ed. orig. 2012).

 

Rosenwein Barbara H., 2016, Generazione di sentimenti. Una storia delle emozioni, 600-700. Viella, Roma (ed. orig. 2016).

 

 

* Paolo Iagulli ha insegnato, tra l’altro, Sociologia generale (SPS/07) all’Università degli Studi di Bari «Aldo Moro». Email: piagulli@iol.it

[1] Si tratta di M. Cerulo, 2018.

[2] Nel 2016, era stato pubblicato, da Viella, Generazioni di sentimenti. Una storia delle emozioni, 600-1700, traduzione di uno dei molti lavori dell’importante storica delle emozioni Barbara H. Rosenwein.

[3] A proposito di estremismi, Plamper, ed è solo un esempio, invita più volte, pur non demonizzandole (volendo anzi favorirne col suo libro una alfabetizzazione), a non «sacralizzare» le neuroscienze; in particolare, egli diffida le scienze umane e sociali da un uso disinvolto, e spesso fondamentalmente disinformato, dei risultati da esse acquisite.

[4] Le discussioni contenute nel testo di Plamper sul contributo della antropologia e della psicologia (e più in generale delle scienze della vita) al tema delle emozioni sono numerose e di notevole interesse. A titolo meramente esemplificativo, e per ricordare solo autori noti a un pubblico più vasto, penso a come egli considera L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali di Charles Darwin, uscito nel 1872 e diventato, in ragione del modo in cui le due fazioni hanno costantemente cercato di assumerne il controllo, «uno dei loci più importanti per seguire la guerra tra sociocostruttivisti come Margaret Mead e universalisti come Paul Ekman» (Plamper, 2018, 252); o ancora, penso alle pagine dedicate da Plamper al paradosso dell’assenza delle emozioni nella teoria di Freud, di cui appunto spesso si dice, sbagliando, che egli non ha mai sviluppato una teoria delle emozioni (cfr. ivi, 296-305).

[5] «All’inizio della storia delle emozioni c’è un solo uomo, Lucien Febrve […], almeno a giudicare dalla maggior parte dei tentativi di storicizzare la storia delle emozioni», scrive J. Plamper, 2018, 67.

[6] Sul punto, cfr. ivi, 97 ss.

[7] Cfr. ivi, 419 ss.

[8] Si tratta di A.R. Hochschild, 2013.

[9] Per un approfondimento, cfr. P. Iagulli 2011, 41-66.

[10] Non si può ancora dire se la storia delle emozioni, scrive J. Plamper (2018, 103), «riuscirà ad affermarsi compiutamente anche a livello istituzionale come disciplina distinta all’interno delle scienze storiche, con cattedre, riviste scientifiche, associazioni e congressi dedicati. È possibile infatti […] che la storia delle emozioni, a differenza, per esempio, della storia economica, venga assorbita da altre discipline, dato che accanto a genere, sessualità, corpo, ambiente e spazio anche le emozioni potrebbero contribuire a illuminare un’ulteriore dimensione […] della storia nazionale, della storia globale, della storia sociale o di quella economica»

[11] Su come discipline diverse (in questo caso la sociologia, la filosofia e l’antropologia) possano fornire transdisciplinarmente un contributo sul tema delle emozioni, così come su molti altri argomenti, si veda il recente A. Comte, 2017, un volume ospitato da una collana della casa editrice Rubbettino non casualmente intitolata Transdiscipline.

[12] Cfr. J. Plamper, 2018, 81.

[13] Si veda il classico N. Elias, 1988.

[14] Cfr. P. Iagulli, 2016.

[15] Cfr., ad es, da ultimo, D. Boquet e P. Nagy, 2018, 11-19.

[16] A. Cavalli, 2000, 65-66.

[17] J. Plamper, 2018, 85.

[18] Cfr. ivi, 179.

[19] Lutz, 1988, 5 (cit. in J. Plamper, 2018, 156).

[20] Cfr. J. Plamper, 2018, in part. 201-227.

[21] Ivi, 227.

[22] Cfr. ivi, 179 ss.

[23] Ivi, 185.

[24] Cfr. ivi, 184-185.

[25] Cfr. H. Flam, 2002.

[26] Cfr. P. Iagulli, 2011, in part. 63-96.

[27] Come scrive presentando il suo libro Dominique Moïsi, «Geopolitica delle emozioni […] sembrerà a molti critici una mera provocazione, se non un ossimoro. Dopotutto, la geopolitica non è forse imperniata sulla razionalità, su dati oggettivi quali frontiere, risorse economiche, potenze militare e il freddo calcolo politico dell’interesse? [Eppure] non si può capire fino in fondo il mondo in cui viviamo senza tentare di integrarne e comprenderne le emozioni» (Moïsi, 2009, 8).

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