Una proposta dopo il referendum greco del 5 luglio: trasferire il Parlamento Europeo da Strasburgo ad Atene

Tra le considerazioni che l’esito del referendum greco del 5 luglio suscita, non ultima è la presa d’atto della riconquista, da parte della politica, della sua centralità in termini nazionali. È forse venuta l’ora di superare  l’utopia di una Unione Europea politicamente neutra, per ridare voce e spazio – come testimonia il coraggio del popolo ellenico – alle nazioni che, fondando la politica, hanno generato l’Europa. Un nesso profondo lega l’atto di volontà democratica espresso nella giornata del 5 luglio a due realtà storico-culturali che connotano l’identità stessa dell’Europa. L’origine storica dell’autoconsapevolezza politica dell’Europa risiede infatti ad Atene, e queste giornate ce lo ricordano, in netta rottura con lo spirito economicistico che domina l’UE; l’irradiazione di un messaggio autenticamente universale e cosmopolitico, quale si comunica nel diritto, promana da Roma. Atene e Roma sono forse le uniche  due capitali nazionali che, prima di essere istituzionalmente rappresentative di uno Stato-nazione (rispettivamente la Grecia e l’Italia), hanno saputo interpretare una civiltà capace di trascendere i limiti delle penisole nelle quali si sono sviluppate la grecità e la latinità, prima pagane e poi cristiane. Gli Ateniesi hanno dato al mondo le prime assemblee parlamentari: la valenza simbolica di una Atene sede di un Parlamento costituente delle Nazioni Unite dell’Europa degli uomini, candidata ad essere laboratorio di una nuova civiltà politica umanistica, sarebbe molto più elevata del simbolismo «carolingio» di una pur nobile città renana; la valenza simbolica di un’Urbe patria (del diritto) delle genti restituirebbe portata e significato autenticamente giuridici e politici a un polo di attrazione geopolitico, e geoculturale, ipoteticamente capace di contenere, dal cuore del bacino mediterraneo (con le sue componenti ebraica e islamica), tricontinentale, lo sbilanciamento di un eurocentrismo orientato su di un asse nord-europeo, interprete di interessi fatalmente subordinati alle ambizioni concorrenti ed egemoniche di altre realtà – ora americana, ora russo- o sino-asiatica. Potrebbe darsi, tra l’altro, che il progressivo decentramento dell’Europa dal crogiolo mediterraneo abbia contribuito a suscitare, come contraccolpo, le energie convogliate nella nuova fase storica ascendente che l’islamismo politico sta registrando, almeno dalla fine degli Anni Settanta in poi.

La vocazione dei Greci, dei Romani, e di Europei consapevoli della loro eredità civile-culturale, almeno in linea di principio è stata di corresponsabilizzare gli abitanti delle terre colonizzate nella partecipazione a un comune compito e destino; l’epoca attuale parla un linguaggio diverso dal passato, perché non è più il tempo della conquista e della sottomissione, ma la meta alla quale lo spirito avventuroso dell’Europa tende non è dissimile, perché medesime restano le aspirazioni di individui, gruppi, tribù, etnie, popoli a vedersi riconosciuto, tutelato, attivamente promosso un diritto di cittadinanza che è il solo presupposto efficace sulle fondamenta del quale edificare un’Europa che sia centro di elaborazione di un modello di società economicamente prospera in quanto animata e sostenuta da un assetto etico-giuridico-politico di libertà e di giustizia.

Ricentrare nella Penisola ellenica la principale sede di rappresentanza politica dell’Europa arrecherebbe tra l’altro il non secondario vantaggio di contribuire a riaprire un dialogo costruttivo con quell’altra Europa che si estende fino ai confini della civiltà slavo-ortodossa.

EurArgo

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