La Terra dei fuochi è l’approccio italiano all’ambiente?

Emergenze ambientali, comunicazione, giornalismo. Dentro la Terra dei fuochi. È questo il titolo dell’iniziativa svolta lunedì 14 dicembre 2015 all’Università degli Studi del Molise di Campobasso, un’occasione per parlare del legame particolare tra comunicazione e ambiente con i cronisti de Il Mattino Gerardo Ausiello e Leandro Del Gaudio. Il pretesto è il libro inchiesta scritto dai due giornalisti «Dentro la Terra dei Fuochi», edito da Skake Up Italia, con prefazione del Direttore del Il Mattino Alessandro Barbano, e diffuso a partire dall’8 luglio 2014. Un’indagine giornalistica che riporta in modo lineare dati scientifici, perizie tecniche, testimonianze giudiziarie, mettendo in collegamento i vari aspetti di un fenomeno che ha determinato una vera e propria emergenza ambientale e sanitaria in Campania.

Il libro è anche una bussola per orientare i lettori de Il Mattino a districarsi nella giungla informativa che riguarda il disastro ambientale campano, infatti, dopo un silenzio di quaranta anni – come si legge nell’introduzione del testo – viviamo oggi, all’opposto, in una bolla mediatica che rischia di saturare l’attenzione dell’opinione pubblica confondendo, dietro i fumi dei roghi ancora accesi, verità, responsabilità, pericoli. Sappiamo che questa devastazione ambientale non riguarda solo la Campania, sappiamo quel che è accaduto finora ma anche cosa sta continuando ad accadere, giorno per giorno, sotto i nostri occhi, pericolosamente assuefatti alle notizie che ci arrivano dalla televisione, dai giornali, dalla rete. Si sa persino in quale anno, e forse anche a che ora, l’intera falda acquifera sarà inquinata in modo irreversibile, e a partire da quale preciso momento ettari ed ettari della Campania saranno distrutti per sempre[1].

Se entro cinquant’anni non vi sarà un’opera di bonifica, il percolato, un liquido che trae origine dall’infiltrazione di acqua nella massa di rifiuti o dalla decomposizione degli stessi, causerà un disastro ambientale e l’inquinamento delle acque. Questa previsione, avvertono gli autori, non è contenuta nel calendario Maya, bensì nello studio condotto nel 2006 dal geologo Giovanni Balestri per la Procura di Napoli che ha rilevato materiali tossici in concentrazione superiore alla norma nella falda acquifera e nel terreno, al punto da parlare di «biocidio». Questa espressione è stata utilizzata in Biutiful cauntri, un documentario realizzato nel 2007 da Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Peppe Ruggiero che affronta il tema dell’inquinamento e della crisi dei rifiuti in Campania, focalizzandosi sui problemi delle innumerevoli discariche abusive, dell’ecomafia e delle conseguenze dell’inquinamento sull’allevamento, in particolare delle pecore, e sull’agricoltura, oltre a fornire degli indizi sul fatturato derivante dallo smaltimento illegale dei rifiuti, mostrando il lento avvelenamento della popolazione dovuto a questi fattori. Il termine è però divenuto popolare a partire dalla manifestazione del 16 novembre 2013, quando in piazza a Napoli scende il movimento «#fiumeinpiena»: un’organizzazione formata da cittadini, in gran parte da mamme, che chiedono attenzione sulle condizioni della Terra dei fuochi, come le malattie che hanno colpito tutta la popolazione, ma in modo particolare i bambini. Il movimento è guidato dal parroco di Caivano, don Maurizio Patriciello, che ha denunciato il dramma dei morti di tumore nel Napoletano e nel Casertano con un appello al Papa e alle istituzioni: «Sono stanco di benedire salme di giovanissimi stroncati dalle malattie provocate da rifiuti e roghi» ripete spesso il sacerdote.

Non c’è fenomeno senza che se ne parli[2], questo significa che un fatto non produce alcuna risonanza sociale fino a quando non si comunichi su di esso. A dare risonanza sociale al fenomeno «Terra dei fuochi» ha contribuito la popolazione residente nel Napoletano e nel Casertano, riuscendo ad accendere l’attenzione della stampa e della politica su quello che il Presidente Napolitano, nel suo discorso di fine anno del 2013, ha definito «il disastro della Terra dei fuochi». È il 31 ottobre 2013 quando l’Ufficio di Presidenza della Camera esprime all’unanimità parere favorevole a desecretare gli atti riferiti alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone di fronte alla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse svolta il 7 ottobre 1997: l’immondizia, un affare con un profitto di almeno 600-700 milioni di lire al mese. I rifiuti provenivano da «Massa Carrara, da Genova, da La Spezia, da Milano»[3], ma anche da più lontano, come i fanghi nucleari che arrivavano su camion provenienti dalla Germania: rifiuti radioattivi «alcuni dovrebbero trovarsi in un terreno sul quale oggi vi sono i bufali e su cui non cresce più erba»[4], raccontava Schiavone e aggiungeva «gli abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno e così via, avranno, forse, venti anni di vita!»[5]. Solo dopo sedici anni da quelle dichiarazioni la politica agisce «Lo dovevamo in primo ai cittadini delle zone della Campania devastate da una catastrofe ambientale cosciente e premeditata» è il commento di Laura Boldrini, presidente della Camera, riportato dal Corriere del Mezzogiorno del 31 ottobre 2013 «cittadini che oggi hanno tutto il diritto di conoscere quali crimini siano stati commessi ai loro danni per poter esigere la riparazione possibile». Cittadini con una coscienza civile e ambientale sopita che si riaccende a causa della malattia e ritornano a svolgere il ruolo di controllori del territorio e di chi agisce per la delega da essi ricevuta. Una delega che per molto tempo è stata in bianco e ha contribuito ad alimentare i fuochi della terra campana. Perché le responsabilità di questo scempio non sono da imputare solo alla camorra. Un ruolo chiave è stato interpretato dallo Stato, dalle Amministrazioni locali e più in particolare dai quei burocrati che nel loro piccolo, come hanno spiegato bene Ausiello e Del Gaudio, con la connivenza e la dilagante accidia non hanno cambiato il corso degli eventi: «la mafia e la camorra non potevano esistere se non era lo Stato… se le istituzioni non avessero voluto l’esistenza del clan, questo avrebbe forse potuto esistere?»[6], è la domanda che Schiavone rivolge nel 1997 al Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta Massimo Scalia. Una domanda retorica, perché se le istituzioni avessero voluto forse questo si sarebbe potuto evitare.

Questi sono i principali fatti attorno ai quali è scoppiata la tempesta mediatica degli ultimi anni sul rapporto tra inquinamento ambientale, agricoltura e salute. L’attenzione della stampa è generalmente una cosa positiva in quanto contribuisce alla creazione di un’arena di discussione, funzionando da agenda setting nel dibattito pubblico: segnala le questioni ritenute più rilevanti dalle istituzioni governative e porta all’attenzione dei decisori politici le esigenze del pubblico o di specifici gruppi di interesse. Nel caso della Terra dei fuochi, i media hanno avuto inizialmente un ruolo importante nella presa di coscienza di ampie fette della popolazione, sia perché hanno sensibilizzato i cittadini sulla questione ambientale, realizzando un dibattito pubblico intorno alla questione dei roghi e delle discariche di rifiuti tossici e proponendo confronti sui vari argomenti relativi allo stato del territorio[7], sia perché sono stati una lente d’ingrandimento sull’inadeguatezza delle istituzioni locali nella gestione del territorio. L’agenda dei media risponde, però, a logiche produttive che portano a selezionare e presentare le notizie seguendo criteri di notiziabilità[8]: al solo fine di aumentare l’audience si tende a spettacolarizzare gli eventi e ad agire come megafono delle paure collettive, contribuendo a creare un clima di psicosi generale. In Campania, l’emergenza è stata sicuramente fomentata dall’enorme quantità di informazioni, immagini, notizie che hanno spesso sfruttato il lato emozionale degli avvenimenti, contribuendo a creare quella che nel libro è definita la «bolla mediatica». L’ingestibile flusso di informazioni creatosi attraverso i vecchi e nuovi media ha rovinato inesorabilmente l’immagine e la reputazione dell’ex giardino d’Europa, riducendolo a discarica tossica. Nel corso del loro intervento all’Università degli Studi del Molise di Campobasso, Ausiello e Del Gaudio, con la loro testimonianza, suggeriscono cosa può fare un giornalista per aiutare i propri lettori a orientarsi in una giungla informativa del genere, soprattutto ora che siamo di fronte ad una crescente attenzione da parte del pubblico sulle tematiche che riguardano l’ambiente, la salute e più in particolare su ciò che portiamo a tavola. La loro inchiesta giornalistica, che definiscono «un’operazione verità», prova a mettere un punto fermo sul fenomeno Terra dei fuochi, tentando di sviluppare una coscienza ambientalista nelle nuove generazioni affinché siano sentinelle del proprio territorio e capaci di intervenire a difesa del diritto all’ambiente (salubre).

Il problema della Terra dei fuochi non interessa solo il Sud, ma l’Italia tutta dove non si è mai sviluppato un ambientalismo capace di controllare ciò che avviene sul territorio. Secondo i due cronisti de Il Mattino, il fenomeno «Terra dei fuochi» potrebbe essere considerato come il tipico approccio italiano all’ambiente, in cui il rapporto uomo-ambiente è inteso in senso utilitaristico. La tutela giuridica dell’ambiente, come esigenza collettiva, è il luogo da cui partire per costruire la solidarietà ambientale: oltre ad avere una funzione sociale[9], in quanto diritto della comunità e dovere delle istituzioni, risponde alla domanda generale di sicurezza.

Rosa Tagliamonte*

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* Rosa Tagliamonte, Dottorato di Ricerca in Comunicazione, Ricerca, Innovazione, Sapienza Università di Roma; docente a contratto del Laboratorio di comunicazione scientifica SPS/08, Università degli Studi del Molise. Email: rosa.tagliamonte@unimol.it.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • Ausiello Gerardo, Del Gaudio Leandro, 2014, Dentro la Terra dei fuochi. Shake up Italia, Napoli.
  • Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, 1997, Audizione del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, 7 ottobre 1997.
  • Corriere del Mezzogiorno, 2013, «Seppellivamo veleni con efficienza militare, sapevo che poi si sarebbero ammalati tutti». In Corriere del Mezzogiorno, 31 ottobre 2013.
  • Grassi Stefano, 2001, Nuove prospettive per il riordino della normativa a tutela dell’ambiente dopo la riforma del titolo V della Costituzione. In Ambiente e Sviluppo, 2001, n.7, 11.
  • Il Sole 24 Ore, 2013, «Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano». In Il Sole 24 Ore, 31 dicembre 2013.
  • Luhmann Niklas, 1986, Comunicazione ecologica. Può la società moderna adattarsi alle minacce ecologiche?. Franco Angeli, Milano.
  • Niro Marco, 2005, Verità e informazione critica al giornalismo contemporaneo. Edizioni Dedalo, Bari.
  • Wolf Mauro, 1985, Teorie delle comunicazioni di massa. Bompiani, Milano.
  • [1] G. Ausiello, L. Del Gaudio, 2014, 11-12.
  • [2] N. Luhmann, 1986.
  • [3] Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, 1997, 11.
  • [4] Ibidem.
  • [5] Ivi, 12.
  • [6]  Ivi, 10.
  • [7] M. Niro, 2005.
  • [8] La notiziabilità è «l’insieme di elementi attraverso i quali l’apparato informativo controlla e gestisce la quantità e il tipo di eventi da cui selezionare le notizie, possiamo definire i valori notizia una componente della notiziabilità». M. Wolf, 1985, 196.
  • [9] Secondo Stefano Grassi «Il degrado dell’ambiente costituisce un attacco al principio di uguaglianza sostanziale perché è evidente come i danni ambientali colpiscano in termini più che proporzionali le categorie più deboli dei cittadini. La tutela del diritto all’ambiente si inquadra perciò perfettamente nel principio di partecipazione e promozione sostanziale della persona umana cui si collega il riconoscimento dei diritti sociali». S. Grassi, 2001, 11.

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